In Future in my mind, hanno concorso vari elementi seguendo una processualità costante; intuizioni, scoperte, casualità, scambi, riferimenti, idee a gravitare lungo un’orbita non prestabilita fino a che, al momento definito, tutto ha assunto una forma che si è avvertita come giusta: in riferimento al ciclo a cui appartiene e che essa stessa ha contribuito a determinare, si può ritenere il progetto di Enrico Vezzi come un percorso che da un’orizzonte immaginifico, attraverso spostamenti progressivi denotati da condivisione e collaborazione, conduce a una possibilità concreta d’intervento nel reale.
L’inizio è Permanent Utopia: wallpaper ad ospitare le tante definizioni dell’utopia formulate nel corso della storia e che, tramite una ricerca tuttora in atto, l’artista ha collezionato con l’obiettivo di arrivare a una mappa dei luoghi ideali; l’ipotetico viene proiettato sul “corpo” della geografia, indice di quanto la differenza tra le due dimensioni non sia mai, in verità, risolutiva: ogni carta per quanto obiettiva richiede un contributo d’astrazione – che poi corrisponde alla nostra maniera di guardare il mondo a quel momento – e ogni utopismo, se anche non realizzato o non realizzabile, esorta a delle azioni pratiche. Di queste ultime è testimonianza il vinile Sometimes We Call It Utopia (remix), inciso con estratti delle voci-racconto di coloro che, in prima persona, hanno tentato o attuamente stanno tentando progetti utopici in diverse parti del mondo.
«L’abito è la prima architettura attorno al corpo, la prima difesa e la prima costrizione. Per il Tempo che dedicherai alla mostra, se vuoi condividere la tua Liberazione, potrai appendere il tuo abito alla giostra quando si fermerà.» LiberationCarousel è una struttura a procedimento automatico, con funzione giocosa d’invito ad abbandonare il primo elemento della nostra protezione – habitus secondo l’etimologia significa primariamente il modo d’essere, la disposizione d’animo, in secondo grado vale come vestimento. Si tratta allora di una possibilità e di una responsabilità insieme; spogliarsi di qualcosa e restare con minore difesa è condizione per penetrare in maniera essenziale dentro alla realtà – dunque anche dentro a questa circostanza specifica – e per porsi in uno stato di apertura verso gli altri.
Del resto l’aspetto relazionale si pone a fondamento dell’intero progetto – e in generale della ricerca dell’artista; 7 Luca’s Wonders è un dialogo in fieri tra Enrico e Luca per mezzo delle immagini, il primo intervenendo con la rielaborazione di un progetto già esistente, Primi Insediamenti Umani – serie fotografica di costruzioni spontanee in progressione lungo un paesaggio marino – il secondo con la scelta di sette edifici del novecento considerati essenziali per la propria formazione e visione. Si tratta di due declinazioni del costruire, poste tra loro in correlazione: quella naturale in legna ed altri elementi con funzione di riparo – che ad un livello precedente riguarda la sopravvivenza stessa – e quella invece mediata dalla scienza, dalla tecnica e dalla tecnologia per giungere ad architetture che abbiano oltre al valore funzionale uno rappresentativo (talvolta divenuto iconico).
Si delinea così la questione della “progettazione” in tutta la sua ampiezza: essa è il modo originario tramite cui interveniamo nel mondo, seguendo un pensiero personale ma necessariamente mirato alla condivisione. Da qui prende le mosse the world we build, conversazione tra l’artista e il curatore: da un incipit ispirato dal testo dell’architetto Richard Neutra Progettare per Sopravvivere (Survival through Design), essa viene sviluppata come meta-riflessione intorno alla genesi e al divenire della mostra, col proposito ulteriore di affermare il bisogno di una collettiva presa di coscienza a riguardo dell’importanza di ogni nostra azione, in quanto esseri umani, rispetto al mondo – qui considerato nella doppia accezione di costituzione fisico-ambientale e di sistema di interrelazioni in atto. Ne danno esemplificazione proprio le immagini dello spazio precedenti all’intervento di recupero, quando, a realizzazione di una personale aspirazione, Lato è stato trasformato da area in abbandono a luogo per attività, incontri, confronti. A ciò si collega Letter from Future al piano d’entrata, elaborazione di uno dei documenti originali redatti dall’amministrazione cittadina in occasione di un sopralluogo, a segnalare lo stato di desolante incuria in cui versava l’ambiente.
Il luogo ancora, approfondito in tutta la sua comprensività, al pari di un organismo vivente dotato di respiro, movimento, processi trasformativi: Music for Commoner (in collaborazione con il musicista Remo Zanin) è un’installazione microfonica ad amplificare alcuni dei suoni strutturali dello spazio, esattamente quelli tensivi delle catene poste nella zona più alta per tenere le murate perimetrali – e senza le quali l’edificio potrebbe collassare – a cui vanno ad aggiungersi i contatti, le interazioni con le persone. Tramite un processo di ascolto e di traduzione, ciò che riterremmo dover attribuire all’immateriale diventa elemento percepibile da tutti; esempio di un’azione regolata dal rispetto e dalla coscienza delle condizioni, attive e potenziali, di un contesto.
Infine Everything is related to everything else. Il lightbox, – in origine insegna di un negozio, recuperata e rielaborata – è un messaggio che si appella all’evidenza del nostro esistere necessariamente in relazione: sta a sintesi di un percorso che se anche qui si conclude, potrà, è un auspicio, continuare in modo personale nella vita di ognuno di noi.
Enrico Vezzi (1979, San Miniato, PI). Si è Laureato in Psicologia all’Università degli Studi di Firenze nel 2004. Fin dal suo esordio concepisce l’arte come un mezzo per stimolare nuove riflessioni sul rapporto tra storia collettiva e memoria personale. Le sue opere sono sempre la traccia di un tentativo di relazione tra la memoria storica e i luoghi a questa connessi. Ogni suo progetto è una testimonianza del processo stesso con cui l’opera si manifesta, con cui tenta di stimolare e formare un dialogo.
Tra i suoi ultimi progetti Collettivi ricordiamo: “Distances”, a cura di laboratoire DERIVA e Matteo Innocenti, Gallerie SeeStudio, Paris (2015),“8+1”, a cura di Matteo Innocenti, Lato/BBS, Prato, (2014), “Finte Nature”, a cura di Giacomo Bazzani, Museo Mac,n, Monsumano Terme, Pistoia, (2013);”Upokeimenon”, a cura di Gianluca D’Incà Levis e Michela Lupieri, Casso, Pordenone, (2013); ”Acqua”, a cura di Carles Marco, Montevarchi, Arezzo (2013); “PastForward”, a cura di Alessandro Romanini, Chiesa di S. Agostino/ Palazzo Panichi, Pietrasanta, Lucca, (2013);“Helicotrema”, a cura di Blauer Hase, Parco della Musica, Museo MACRO, Roma (2013); ”CartaBianca”, a cura di Silvia Cini, Museo di Villa Croce, Genova (2012); “Cos’è il Contemporaneo?”, a cura della Fondazione March, Palazzo Moroni, Padova (2011); “My Favourite Things”, Galleria Contemporaneo, Mestre (2010); “Emerging Talents”, CCCStrozzina, Palazzo Strozzi, Firenze (2009); “Il Caos”, a cura di Raffaele Gavarro, Isola di San Servolo, Venezia (2009); “Il Rimedio Perfetto”, a cura di Marco Tagliafierro, Galleria Riccardo Crespi, Milano(2008); ”White Balance”, a cura di Lorenzo Bruni, Galleria Vianuova, Firenze (2008); “Usine de Reve”, a cura di Cecilia Casorati e Sabrina Vedovotto , 26cc, Roma (2008).
Tra i suoi ultimi progetti Personali ricordiamo: Sharing Utopia!, progetto OperaDelocalizzata, a cura di Nero, Museo MIC e altri sedi, Faenza (2012), “Let’s Take a Position”, progetto Greendays, a cura di Anna Santomauro e Viviana Checchia, in collaborazione con AAA/Brussels, Radar/Loughborough, Fabrica de Pensule/Cluj-Napoca, Neoncampobase/Bologna (2011); “Prokudin- Gorskij Project”, a cura di Ilaria Mariotti, Centro Espositivo Villa Pacchiani, S.Croce sull’Arno, Pisa (2011); “Il Principio di Realtà”, a cura di Angel Moya Garcia, Reload, Roma (2011); “Cosa rimane di una mostra?”, a cura di Lorenzo Bruni, Studio8, Pistoia (2010).
a cura di | edited by Matteo Innocenti
in collaborazione con | in collaboration with Luca Gambacorti
1.
FUTURE IN MY MIND
Enrico Vezzi
19 marzo – 6 maggio
19 march – 6 may
inaugurazione | opening 19 marzo 2016 h. 19.00
LATO | Piazza San Marco 13 | Prato