Al modo di altri artisti cinesi, quella di Zhang Huan è una vicenda che unisce biografia, storia e arte. Davanti al sospetto che la Cina sia diventata una potenza economica a scapito dei valori umani e culturali, l’artista risponde con la monumentalità, persino spettacolare, della tradizione. L’anima e la materia segna la nuova apertura del Forte Belvedere, a Firenze…
Zhang Dongming (Anyang City, 1965, vive tra Shanghai e New York) – questo il vero nome dell’artista, mutato a circa trent’anni su consulto di un maestro yijing in Huan, come esortazione a esprimere il proprio potenziale – è senza dubbio colui che più ha contribuito a originare un’arte performativa cinese. Dai primi Novanta e per circa un decennio, nella Beijing East Village Zhang Huan realizzò azioni di forte trasgressione, mantenendo simili modalità espressive nel successivo periodo newyorchese, determinante per una conoscenza diretta e approfondita della cultura occidentale nonché per inserirsi nel sistema artistico. Quindi nel 2006, a seguito di un viaggio in Tibet, scelse di tornare in Cina e di acquistare un’enorme industria dismessa. L’evoluzione spirituale non solo comportò una diminuzione dell’attività performativa direttamente proporzionale all’incremento dell’impegno in pittura e scultura, ma determinò una modificazione profonda negli obiettivi: recuperare al presente quella sterminata tradizione culturale che la Cina contemporanea, per via di una politica folle, ha cancellato prima dalla realtà e poi dalla memoria.
Il percorso di opere tra Palazzo Vecchio e Forte Belvedere, quest’ultimo riaperto dopo due anni dai tragici incidenti che vi sono avvenuti, riguarda in modo esclusivo l’ultimo periodo creativo. Tra le serie in mostra vi sono gli Ash Paintings realizzati con la cenere dell’incenso bruciato nei templi buddhisti, i piccoli teschi Family simili a un memento mori, le rappresentazioni in vario materiale – ancora cenere, ma anche bronzo, acciaio specchiato, pelle di mucca – del Buddha e di Gesù Cristo, spesso uno di fronte all’alto (oltre a un Confucio in marmo bianco donato alla città).
In genere si tratta di opere di grandi dimensioni e dotate di spettacolarità. Specialmente il Taiwan Buddha cinereo, lasciato a disfarsi a dimostrazione dell’impermanenza di ogni cosa, o il gigantesco Three Heads Six Arms affacciato sul panorama di Firenze, rivelano il carattere doppio di questa esposizione . Perché se da una parte è innegabile la capacità tecnica e produttiva della “factory” Huan, in linea con la potenza materiale che la Cina sta dimostrando, dall’altra si è persa l’incisività, e forse anche l’autenticità, delle prime performance: assunto che l’insegnamento buddhista necessiti di essere comunicato più che urlato, queste enormi sculture, pur nel loro desiderio sincretistico ed ecumenico, corrono il rischio di trasmettere in maniera sensazionalistica la preziosità del pensiero orientale. Davvero un conflitto tra materia e anima.
Matteo Innocenti
Firenze //
Zhang Huan – L’anima e la materia
a cura di Sergio Risaliti e Olivia Turchi
PALAZZO VECCHIO
Piazza della Signoria
FORTE BELVEDERE
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