Un luogo si fa interessante per una ricerca artistica, sino a divenirne radice d’ispirazione, dal momento della sua sottrazione alla dimestichezza con lo sguardo e di riconsegna a un ambito di più ampia apertura; così nella rivelazione delle alterità l’artista sceglie e, per una via che può trovare consistenza tanto nella potenza immaginifica quanto nell’elemento fisico, procede a ridefinire lo specifico del luogo stesso. Tale tensione oltre le coordinate percettive consuete, tra le due estremità di scoperta e rammemorazione, è la nota precipua del percorso di Andrea Santarlasci (Pisa, 1964).
Riflessi da un luogo invisibile, personale a cura di Arabella Natalini presso la galleria Passaggi (Pisa, fino al 23 gennaio 2016), pone centralità sull’Auser – antica denominazione del fiume Serchio, che già secondo Strabone proveniva dagli Appennini e incontrava l’Arno proprio nella zona in cui sarebbe sorta Pisa. Il ricorso a un sito presente soltanto tramite flebili riverberi – non esistendo quasi più traccia del suo trascorso – contiene significazioni che a partire dalla storia procedono verso la dimensione più complessiva della memoria e della conoscenza. Le origini di colonia romana e lo sviluppo come porto strategico, fino alle trasformazioni imposte dal potere imperiale che ne cancellò il paesaggio lagunare e la vocazione marinara; tale excursus implicito sulla città, documentario e documentato per via d’evocazione, vale quale traccia di un processo vitale continuo: esso mostra come l’intuizione e la sintesi proprie all’arte, ben oltre l’analisi applicata alla successione degli accadimenti, siano mezzi in grado di penetrare l’indiscernibile e di testimoniarne le complessità.
Mantenendo sul piano formale e simbolico l’elemento acqua a corrispettivo del mutare storico e di quello umano, la mostra è modulata come equilibrata successione di immersioni ed emersioni, dentro e fuori dal tempo-spazio – o meglio sarebbe dire, dall’essere. Così il trittico di lightbox Eterocronia: ipotesi di un ricordo, visione di un flusso fluviale che dalla luce procede verso l’oscurità (o viceversa, all’infinito), riporta quale citazione emblematica uno dei più noti frammenti di Eraclito di Efeso “Negli stessi fiumi entriamo e non entriamo, siamo e non siamo”: svelamento dell’illusione di permanenza delle leggi del mondo e delle nostre cognizioni. Verso ciò è declinabile anche la grande istallazione centrale Sotto di noi, immobile, scende il tempo dell’acqua, frammento architettonico formato da tavole di recupero, nonché soglia diretta a una verticalità che sta a doppio del reale comune; a tal riguardo ci si può riferire alla Logica del senso di Gilles Deleuze, nella parte concentrata su Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carrol “Il divenire illimitato diventa l’evento stesso, ideale, incorporeo con tutti i rovesciamenti che adesso sono propri del futuro e del passato, dell’attivo e del passivo, della causa e dell’effetto. Il futuro e il passato, il più e il meno, il troppo e il non abbastanza, il già e il non ancora: l’evento infinitamente divisibile è infatti sempre l’uno e l’altro insieme.” Importante che tale installazione viva di due fasi nel corso dell’esposizione, prima in assenza e poi in presenza di acqua al suo interno.
Le altre opere con coerenza rimandano al medesimo processo di “velata rivelazione”, un ramo raccolto presso il fiume a cui la consunzione ha dato forma d’imbarcazione, alcune fotografie di paesaggi fluviali, un disegno ad acquerello; secondo le parole dell’artista “Spesso proprio quel che sembra estraneo, quell’estraneità è ciò che identifica il luogo nella sua particolarità, solo a questo punto è possibile, per me, parlare di quel luogo e non di un altro”.
Matteo Innocenti