Un festival dedicato alla creatività che si connota, come il suo stesso nome suggerisce, per le intenzioni il più possibile inclusive e per il fine preciso di presentare-rappresentare in accezione assai ampia l’estro umano. Un’impostazione insolita, in cui si potrebbe persino rintracciare un’eco di quel fascino, a metà fra curiosità e scientismo, che dovette permeare l’esposizione universale nelle versioni fin de siècle.
Insomma, con il nuovo progetto, giunto lo scorso ottobre alla quarta edizione, Firenze ha ingaggiato una scommessa non da poco: “creare” un unicum che le permetta di raggiungere l’eccellenza, almeno per originalità, nel rapporto con la cultura contemporanea. Così, nell’ottica di una forte sperimentazione, il leitmotiv del festival è stato coerentemente identificato su un’idea d’interazione: streaming per web-tv, prototipi tecnologici esperibili, incontri su temi cruciali del pensiero moderno ne sono alcuni esempi. Il titolo prescelto, invece, specifico per il 2009, è stato Città future.
In sintesi estrema eppure d’obbligo, dato lo svilupparsi del programma in una miriade di direzioni, si può tentare di tracciare una linea d’unione tra i punti fondamentali della manifestazione. Per l’arte, oltre un curioso omaggio al Futurismo – con collage di Pablo Echaurren e l’installazione Marinetti4, robot in grado di rispondere a domande digitate tramite tastiera -, il progetto Metamorfosi Urbane, raccolta di video e foto, tra cui quelle di Giacomo Costa, come indagine sulle metropoli attuali e ipotesi su quelle del futuro. Negli spazi esterni spiccavano l’ormai immancabile parete per i writer e gli ombrelli volanti di Giampaolo Talani,riproposizione di un’installazione nata per celebrare il ventennale dalla caduta del muro berlinese.
Per la parte musicale, in evidenza il concerto di Patrick Wolf, enfant terrible del pop inglese, i francesi Rinôçérôse con Futurinô, show rock ambientato tramite grafica e luci in una metropoli immaginaria, e i tedeschi Mouse on Mars, gruppo di rilievo della scena elettronica. Quanto al teatro, il reading di Stefano Benni e il testo inedito di Stefano Massini,questions/domande sul futuro,interpretato da Fabrizio Gifuni.
Infine qualche segnalazione sparsa: gli incontri costanti delCaffé filosofico fra studiosi, specialisti e pubblico; lo spazioMy City, ambiente multimedialein cui si presentavano applicazioni innovative, dal social network alla realtà virtuale; workshop di vario tipo.
Il Festival della Creatività ha quindi dimostrato di essere una macchina imponente, capace, a fronte di un’organizzazione colossale, di coinvolgere artisti d’alto livello e di impegnare un numero cospicuo di lavoratori. Anche i numeri riportati nei comunicati stampa confermano il successo, con un trend di crescita che ha raggiunto quota 400mila presenze nella più recente occasione. Se a ciò si sommano altri segnali, quali la lettera d’adesione del Presidente della Repubblica o i tanti sponsor coinvolti, allora l’ottimismo non pare fuori luogo.
C’è però un aspetto che merita un approfondimento critico più incisivo, al di là dell’entusiasmo ufficiale: riguarda proprio la vastità ed eterogeneità della proposta, causa di reazioni d’ordine differente. Tra eventi e appuntamenti in successione rapsodica, durante i tre giorni annuali di svolgimento si ha sempre l’impressione di essersi perso qualcosa. In parte tali “assenze” derivano dalla volontà dell’organizzazione stessa che, in questo modo, si è assicurata l’unicità e l’imprevedibilità del percorso d’ogni singolo spettatore. Eppure, lo stesso aspetto – forse per precocità, forse per la natura di un pubblico “allargato” e quindi meno consapevole, forse perché siamo abituati a troppe cose per meravigliarci davvero – è anche ragione di uno scollamento tra il festival e un segmento della sua città.
Oltre i numeri e nella sostanza, è come se una componente consistente di visitatori fruisse l’evento al pari di un gradevole quanto eccentrico diversivo: poca coscienza sia sul visto che sui motivi della sua realizzazione. Fattore che potrebbe essere il sintomo di una crisi più ampia, quella dei significati, in cui certo non ha responsabilità l’evento in questione: parole centrali come ‘creare’, ‘presente’, ‘natura’, ‘città’ e tante altre svuotate di reale attrattiva, poiché strumentalizzate e abusate dalla quotidiana faciloneria massmediatica.
Allora, al di là delle specifiche questioni di senso, una soluzione perseguibile potrebbe essere quella di un coinvolgimento più attivo. Cioè investire anche con maggior rischio, e aumentare la quantità dei bandi: per scovare persone di valore ma ancora esterne ai circuiti ufficiali, e magari non necessariamente vicine alle istituzioni o ai partiti politici. Fare un grande balzo, per rendere il pubblico protagonista effettivo e definitivo.
In fondo, se valutiamo la mole di lavoro fin qui svolta e i conseguenti risultati, tale balzo non sarebbe che un piccolo passo.
Matteo Innocenti
Festival della Creatività – Città Future
direzione artistica: Daniele Lauria