“L’arte è sempre stata contemporanea”. Una scritta al neon risplende come un quarzo blu sulla facciata degli Uffizi. Otto artisti interpretano – alla maniera d’oggi – altrettanti luoghi del Rinascimento: a Firenze tra attesa, sbigottimento e incomprensione, finalmente il presente si misura con il passato…
“Alla maniera d’oggi”: così scriveva il Vasari nelle sue celeberrime Vite, fornendo inoppugnabile testimonianza di una coscienza critica in seno al suo secolo. E se ancora si può dibattere sulla effettiva consistenza e opportunità del termine Rinascimento – questione affrontata con straordinaria compiutezza in una serie di saggi firmati da Erwin Panofsky – non c’è però motivo di dubitare che, rispetto a quello stile talvolta definito “greco” talvolta “barbarico”, gli uomini del Quattrocento e del Cinquecento ravvisarono in sé una particolare capacità d’innovazione e perfezionamento. È innegabile che da loro scaturirono modi diversi di realizzare la pittura e di pensare la realtà: modificazioni che col tempo sono entrate stabilmente nel nostro stesso essere uomini, al punto che potremmo considerarle cardine di un’eredità genetica occidentale.
Ma ogni retaggio, come ben sappiamo, porta con sé conseguenze positive e negative; per esempio il razionalismo di quel tempo – seppur per via involontaria – indusse nei periodi successivi e induce ancora oggi il senso comune a esaminare con forte circospezione, e se possibile a “condannare”, ogni espressione che proceda contro la figurazione e le sue norme canoniche. Un aspetto speculare dell’azione spasmodica con cui gli artisti, determinati a liberarsi dal giogo di un modello ineguagliabile, hanno in seguito ricercato il risultato originale e sconvolgente.
Sarebbe interessante tracciare, relativamente a tali dinamiche, una “mappa” della comprensione; perché se nel passato almeno fino al Manierismo, in un’epoca in cui la cultura media era certamente inferiore all’odierna, nessuno si sognò di deridere un’artista – complice il ruolo narrativo della pittura, Biblia pauperum – oggi invece le maggioranza è solita etichettare i risultati della contemporaneità come una stravaganza fine a se stessa (conclusione questa solo occasionalmente vera, e comunque non accettabile poiché derivante dal rifiuto pregiudiziale più che dall’analisi).
Dunque, sembra che il trascorrere dei secoli non abbia portato a una progressione nel ruolo partecipativo dell’arte all’esistenza: certo, siamo ormai ben disposti a guardare un’opera perturbante dentro un museo o dentro una galleria, ma lo siamo molto meno nel considerare la stessa opera quale elemento attivo della vita quotidiana. Un orinatoio rovesciato, per non dare fastidio, bisogna che sia staccato dalle tubature e innalzato su un piedistallo. Per simile dinamica, seppur con movimento inverso, una grande scritta blu al neon – all art has been contemporary – installata all’esterno del corridoio vasariano di fronte al fiume e ai colli, si trasforma nell’immaginario comune in un’invasiva pubblicità di ristorante.
Ecco il senso dell’ampia introduzione: si dia fiducia alla critica per cui Firenze, città natale del Rinascimento, sarebbe rimasta sepolta tra le polveri di un genio trascorso. Ebbene, al di fuori degli artisti e di coloro che contemplano l’arte per lavoro o per passione, chi è davvero disposto ad aprirsi alle proposte, alle incertezze e alle conquiste della contemporaneità?
Il 2009 ha segnato l’inizio di un progetto dal titolo Toscana incontemporanea, tentativo concreto della regione di aprirsi alle espressioni artistiche attuali. Tra i momenti salienti dell’iniziativa ci sono state una conferenza-spettacolo di Achille Bonito Oliva sul Futurismo, la rassegna cinematografica Lo schermo dell’arte in collaborazione con la Strozzina, la mostra su arte e natura ospitata da Palazzo Fabroni. In sintesi, una rete – per adesso limitata a Firenze, Prato e Pistoia – che ha trovato il momento culminante proprio con Alla maniera d’oggi. Base a Firenze, esposizione in partecipazione con il Centro Pecci. L‘idea del curatore Marco Bazzini è semplice e audace al contempo, poiché pone in relazione – uno dinanzi all’altro senza pregiudizio – il passato e il presente: “L’iniziativa ha origine da una doppia ispirazione. Innanzitutto dimostrare la possibilità di un dialogo tra l’arte antica e quella contemporanea, attraverso interventi decisi ma non invasivi. A ciò si aggiunge la volontà di riconoscere l’attività di Base, che dal 1998, con grande determinazione e talvolta con sacrifici economici, è divenuto un luogo fondamentale di incontro ed aggiornamento; in qualche modo è come se la città rendesse agli otto artisti un po’ di quello spazio che loro hanno messo a disposizione degli altri.”
Mario Airò, Marco Bagnoli,Massimo Bartolini, Paolo Masi,Massimo Nannucci, Maurizio Nannucci, Paolo Parisi e Remo Salvadori: sono questi gli autori chiamati a intervenire, nel rispetto dello stile originario e di quello proprio, in luoghi cittadini di primaria importanza, ossia il Museo di San Marco, la Galleria dell’Accademia, la Colonna di San Zanobi in Piazza del Duomo, per menzionarne alcuni. Inoltre, come ricorda la soprintendente Cristina Acidini, ulteriori siti, di norma esterni agli itinerari turistici, sono stati selezionati con intento promozionale: “Se al termine della mostra saremo riusciti ad attirare visitatori non residenti nel Chiostro dello Scalzo, piuttosto che nel Cenacolo d’Ognissanti, potremmo già considerarlo un ottimo risultato”.
Le voci sono concordi nell’affermare che ogni singola installazione è stato concepita con cura e riflessività, così da non danneggiare né a livello materiale né a livello espressivo le opere antiche; rassicurazione che però non pare aver frenato le polemiche e le preoccupazioni. In risposta al paradosso di una componente cittadina che d’improvviso si è erta a paladina del passato splendore – con solerzia superiore a quella istituzionale – invitiamo Marco Bazzini a una considerazione: “Sapevamo che ci sarebbero state polemiche ed esortazioni, critiche e apprezzamenti, è normale per un’iniziativa del genere. Per la verità io spero che se ne parli molto, perché ‘Alla maniera d’oggi’ potrebbe servire da catalizzatore per l’arte contemporanea”.
In tale ottica ci sarebbe bisogno che l’esposizione non si limitasse al singolo episodio, ma trovasse una continuità annuale (fatto che pare confermato almeno per l’edizione 2010 di Toscana incontemporanea). E se per questa prima occasione c’è stato il comprensibile bisogno di ricorrere a un gruppo di artisti ben affermati a livello internazionale, per le successive si potrebbe osare di più: unire a nomi riconoscibili, la novità di giovani autori di qualità.
È un invito, questo, a insistere e a sperimentare, affinché in città tutti imparino a conoscere, semplicemente guardandosi intorno, che cosa accade nell’arte del presente.
Matteo Innocenti
Alla maniera d’oggi. Base a Firenze
a cura di Marco Bazzini
Sedi varie – Firenze