Transavanguardia, ancora. Stavolta però in versione solo show. Nicola De Maria è il protagonista di una grande mostra al Centro Pecci di Prato, a cura di Bonito Oliva e Bazzini. Un’altra occasione per fare il punto sul movimento più amato e odiato di sempre.
La forza essenziale di Nicola De Maria (Foglianise, 1954) è la capacità di abitare le relazioni tra arte e spazio, senza mirare a un cambiamento del reale o dell’organizzazione sociale, condizione programmatica di molte avanguardie. Non esiste costrizione, ma solo un invito di partecipazione ai propri stati d’animo. E affinché ciò non si risolva in un superficiale culto dell’ego, l’individualità viene sempre collegata a una dimensione cosmica, in accordo, del resto, con gli intenti originali dell’astrattismo. Il riferimento specifico di Achille Bonito Oliva, storico “ideatore” della Transavanguardia e curatore insieme a Marco Bazzini di questa antologica con opere degli anni Novanta e Duemila, è all’architettura delle cupole: “il risultato è una pittura che assume la cadenza spaziale del concavo, una curva che include lo sguardo e la complessità sensoriale dello spettatore”.
I grandi spazi del museo, di complessa gestione anche per un autore navigato, vengono cadenzati da un ritmo pressante ma non invasivo, costituito, oltre che dal dipingere, dalla poesia, dalla musica, dalla grafica, dal gioco, dal sacro. I riferimenti al mondo sfuggono ogni problematicità accessoria, per arrivare letteralmente al “cuore” delle cose: da questo punto di vista si potrebbe dire che l’artista non procede in modo verticale, ma estensivo, inglobando in sé tutto quanto lo affascina, così rispettando il prefisso trans- della corrente a cui appartiene.
Ampie campiture di colore nei quadri Universo senza bombe e nei vari Regni di fiori, talvolta escrescenze materiche che invitano il tatto, manifesti composti per mostre e per festival, quindi la grande sala site-specific decorata con pigmenti abbaglianti e tele di grande formato, nuovo manifesto di una personale gioia di dipingere. Tutto si dà allo spettatore per un immediato godimento, non per interpretazioni complicate.
In questo modo De Maria porta allo scoperto uno dei punti critici della Transavanguardia. Si tratta di un movimento che ci teniamo ben stretti, a ragione, per la generalizzata sofferenza dell’arte italiana nel contesto internazionale degli ultimi decenni, e in altro modo per il successo commerciale che ha riscontrato. Ma proprio quanto teorizzato alla sua nascita,“il recupero dell’inattualità della pittura, […] lo spessore di un’immagine che non si priva del piacere della rappresentazione e della narrazione” – il che spesso significa citazionismo, si è rivelato limitante. La meraviglia che si vorrebbe accendere subito sminuisce: lo stile delle opere è ben riconoscibile, piacevole per tutti, ma difficilmente genera vero stupore.
Matteo Innocenti
(Artribune)
Prato //
Nicola De Maria – I miei dipinti s’inchinano a Dio
a cura di Achille Bonito Oliva e Marco Bazzini
CENTRO PER L’ARTE CONTEMPORANEA LUIGI PECCI DI PRATO
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