Ci sono tanti modi di costruirsi una carriera nei diversi ambiti, e certo questo vale anche per l’arte. Adesso come nei secoli scorsi – non sarà l’idealismo romantico a salvarci – il sistema artistico contempla una serie di norme, codici, mondanità utili ad essere creduti e rispettati quali autori di grido. Si tratta di un meccanismo complesso, alienante per differenti motivi, e in quanto tale si presta ad un’attenta riflessione – soprattutto da parte di coloro che non intendono parteciparvi.
Prima di tutto il grido stesso, che in sé è qualcosa di attraente ma di estremamente pericoloso. Chi grida concentra la voce in una parentesi brevissima, e se per questo riesce ad attirare una forte attenzione iniziale, è possibile che poco dopo, fioco per asfissia, si ritrovi abbandonato da tutti. Non è improbabile sentire qualcuno dire, a festa finita, “ma chi era l’idiota che urlava?”.
L’aspetto sostanziale è che quando l’arte si mischia alle pratiche sociali, diventa, qualsiasi sia la sua provenienza, arte del potere (altri preferirebbero le formule arte borghese, o arte di Stato; non muta il significato). Tutta la tiritera del sapersi vendere, del parlare di sé, dell’intrattenere rapporti, pur essendo una pratica legittima, è accessoria rispetto alla creazione. Convincere e farsi convincere che si tratti di un processo necessario, coincide ad accettare la colonizzazione del mercato e del linguaggio comune – i due bracci armati della demagogia contemporanea.
Certamente oltre che di aria si vive di denaro, ma se per avere quest’ultimo siamo costretti alla prostituzione, allora si prenda atto che un equilibrio si è rotto, e che ci troviamo davanti a una deficienza culturale. Condannata e svilita per varie ragioni la figura del mecenate, è venuto creandosi un vuoto che non può essere il gusto delle masse a riempire, pena il qualunquismo della dittatura democratica. Appunto il qualunquismo è l’essenza dei comportamenti già scritti e già approvati, la negazione più forte, insieme alla censura – e forse è una gradazione di essa – del reale dominio dell’arte: l’individualità.
Nell’attualità il discorso si complica ulteriormente, perché il prontuario di norme da seguire per piacere, sta sconfinando a velocità frenetica dalla diffusione alla creazione. La maggioranza dei giovani autori ha imparato, più o meno consciamente, che per esprimersi nel modo “giusto” si devono prendere i codici sperimentati in tutto il novecento, e risistemarli alla meglio. Una sorta di imbellettamento di un cadavere putrefatto; un po’ di concettuale e un po’ di ironia, uso e abuso dell’installazione, quando possibile indulgere al figurativo per un simpatico effetto vintage, e così via con trucchi del genere. Tutto questo è sintomatico di un manierismo sfrenato – tirannia della tecnica – e dell’enorme distanza dal classico.
La soluzione non è dietro l’angolo, e soprattutto non è unica. Serve in primis un risveglio delle coscienze, per il recupero di quelle verità che ognuno si porta dentro. Un artista sa sempre quando è sincero e quando se la sta raccontando. Il prontuario è comodo, immediato, però l’alternativa è assai più potente: un abisso sconfinato che si chiama eternità.