Essendo tutta l’arte dentro il tempo, condizione necessaria a ogni cosa per esistere, anch’essa deve inevitabilmente portare in sé i segni del proprio momento. Ciò non significa che l’opera artistica riguarda la società in cui viene generata, ma che riguarda anche la società in cui viene generata. In questo caso la congiunzione ha una potere di differenziazione enorme; infatti, poiché l’arte non tende ad altro obiettivo che l’andare oltre sé stessa, ogni riferimento al sociale può scaturirle solo di riflesso e in modo non determinante.
Sappiamo che la pratica di rappresentare direttamente e criticamente eventi o temi politici, economici, di costume ecc… nasce insieme alla ‘modernità’, in quella stessa dimensione entro cui si auto-genera l’ectoplasma auto-definitosi ‘pubblica opinione’. Nel corso di due secoli tale impostazione, incoraggiata dal bisogno estremo di riforme, si sviluppa e si rafforza fino a divenire un vero e proprio genere. Libertà, uguaglianza, fratellanza; oggi, dalla prospettiva che il tempo ci offre, diventa evidente che la pratica di realizzare arte sociale e di proporla al pubblico ha in sé tutti i caratteri della truffa – termine la cui spiegazione da vocabolario è “il ricavare illecito profitto ingannando qualcuno con raggiri”. Io truffo se do qualcosa a qualcuno facendogli credere che si tratti di qualcos’altro, per esempio vendendo o legittimando come arte un’opera che non sia definita, per via sufficiente e autonoma, dai suoi caratteri estetici.
Prendiamo uno degli esempi originari, così da determinare l’entità e i limiti dell’imbroglio: il caricaturista, pittore, scultore francese Honoré Daumier. In una delle più celebri tra le sue numerosissime litografie di satira politica, Napoli: il migliore dei re che continua a far regnare l’ordine nei suoi stati, si vede l’obeso monarca assistere gaudente allo spettacolo di impiccagione e uccisione dei dissidenti cittadini. Aldilà del prevedibile sdegno suscitato nella coscienza media, per la violenza autoritaria e sadica esercitata sul popolo affamato, è evidente che l’apprezzamento al disegno non riguarda la denuncia, ma alcuni elementi estetici che risultano indipendenti rispetto ad essa: soprattutto la prospettiva del selciato e la luce accecante del sole pomeridiano, entrambi a creare un’atmosfera sospesa, quasi metafisica. La componente stilistica inizia a rivalersi su quella tematica dal giorno stesso della creazione, per divenire esclusiva secondo una velocità direttamente proporzionale al passaggio temporale – su questo punto dovremo essere sinceri, e ammettere la fragilità della memoria storica. Lo stesso discorso vale per le sculture caricaturali tramite cui Daumiere raffigurò i deputati dell’epoca, tali CountAntoine-Maurice-Apollinaire d’Argout, Laurent Cunin, Jean-Ponce-Guillame Viennet… il nostro godimento non è nell’identificazione dei personaggi, cioè nello specifico della contestazione politica, ma nella gibbosità espressiva e ironica della creta.
Ciò non significa che l’artista francese abbia svolto un’azione sociale inutile per il proprio periodo, ma che egli resta nella storia dell’arte, non emarginato a una più ristretta storia della satira, esclusivamente per un talento stilistico. Così in ogni caso, in ogni epoca: Michelangelo avverte il disagio della controriforma e lo riduce ad impulso per nuove foghe artistiche, Caravaggio traduce l’affermarsi di un’etica diversa, più realistica, nel contrasto perenne di luci e di ombre, Goya mostra l’inumano di una fucilazione nel baluginio del tratto e dei toni, Marcel Duchamp risponde al positivismo e alla guerra con l’apologia del nulla. L’enormità di Dante è nell’avere sublimato un discorso politico e teologico personale – in quanto tale discutibile, parziale, zoppo – in un piano artistico assoluto.
Considerando simili episodi e la quantità di opere attuali direttamente connesse alla società – il ricatto morale del buonismo dell’impegno, che ritiene di poterci educare ai doveri e ai diritti civili – possiamo dichiararci vittime di una frode colossale: e perché gli artisti sono tali nella ricerca e non nelle risposte contingenti, e perché tutta questa rappresentazione cronachistica dei fatti (accessoria perché ai fatti è sufficiente accadere) non ha niente a che fare, o meglio a che vedere, con l’arte.
Matteo Innocenti