Casa Masaccio mantiene un ruolo importante per costanza e qualità della proposta all’interno della scena dell’arte contemporanea in Toscana e non solo; meritoria, oltre le esposizioni a carattere collettivo, la concentrazione su personali di artisti internazionali, come già avvenuto e nel caso attuale di Jessica Warboys (Newport, 1977) in collaborazione con Tate St Ives e Kunsthall Stavanger.
L’allotropia è in chimica la qualità di un elemento di esistere in diverse forme, in base ai legami variabili tra atomi; in linguistica invece indica le parole che pur derivando dallo stesso etimo hanno assunto valore semantico dissimile. Inoltre tropos, di cui il termine greco si compone, consiste in una traslazione generale del discorso tramite il ricorso alle figure retoriche.
Una tale densità di riferimenti, annunciata dal titolo Allotropes, la si può considerare significativa non solo dello specifico progetto, ma della ricerca complessiva dell’artista. Infatti Jessica Warboys ha tra le sue precipue caratteristiche la combinazione di molteplici mezzi espressivi – la pittura, il video, la performance, la scultura – seguendo una tendenza che più della diacronia, ovvero il porre in relazione lungo uno sviluppo per fasi, cerca di agire una compenetrazione all’interno della dimensione della singola esposizione ed opera. Ed è proprio a questo livello che i continui processi di trasposizione s’innescano.
La mostra che ha inizio e fine in due “occhi” – di accezione concreta e simbolica insieme, trattandosi dell’atto visivo – è un percorso che si compone di tre film e di altrettanti quadri-scultura a corrispettivo (quest’ultimi ispirati dal diamante, appunto una forma allotropica del carbonio). Il sistema di corrispondenze si fa percepibile oltre che nella struttura esterna dell’insieme, la quale ha andamento logico per il numero delle opere e per la loro distribuzione in verticale secondo l’architettura dello spazio, anche in quella interna ai video, la cui derivazione proviene dalla mitologia, dalla narrativa, dall’autobiografia e la cui declinazione, di tipo evocativo e poetico, persegue l’obiettivo, tramite un’originale interpretazione delle fonti, di scaturire nuove storie.
Una descrizione sintetica della parte filmica. Pageant Roll (2012) è ambientato nella zona occidentale della Cornovaglia, in prossimità di un sito megalitico; attraverso una ripetizione di inquadrature speculari o appena variate, che rendono un effetto di circolarità, l’imponenza delle pietre antiche è posta in relazione ad elementi ispirati dalla prima arte modernista, come un quadrato rosso, o ad altri, estranei rispetto al contesto, tra cui un grande ombrello verde e delle uova colorate. Boudica (2014) s’incentra sulla regina guerriera degli Iceni, che condusse nel primo secolo D.C. un’importante rivolta delle tribù isolane contro i Romani; la figura, sospesa tra storia e mito, viene ri-vista attraverso alcune “situazioni” insieme attinenti e stranianti, come una donna nella foresta che fa ruotare con vigore un hula hoop, la statua commemorativa dell’eroina a opera dello scultore vittoriano Thomas Thornycroft a cui vengono sovrapposte immagini di fiamme. Hill of Dreams (2016) è un ritorno al luogo di nascita dell’artista, il sud del Galles, che fu anche provenienza dello scrittore Arthur Machen; lungo la percorrenza che da zone collinari giunge all’anfiteatro romano, una figura umana, un giovane bohémien, assurge a simbolo di sintesi tra biografie diverse, tra tempo passato e presente.
Nella tecnica dei film vi è la scelta di ricorrere, sia per il girato che per il montaggio, ad alcune modalità proprie alla cinematografia delle origini: tagli all’interno dello stesso piano che creano un effetto di apparizione o di sparizione, come si è visto la loro ripetizione in forma identica o speculare, riprese più lunghe simili a dei piano sequenza entro cui portare a compimento un’azione. Considerando che il primo cinema ebbe come impulso quello di mostrare, piuttosto che di narrare, cogliamo il senso della connessione; si tratta di concedersi una libertà estrema nel confronto con la realtà, fino al limite del sorprendente e della meraviglia. L’attitudine è totale: come le presenze umane d’invenzione e quegli oggetti creati dell’artista – in transfert continuo dalla dimensione diegetica agli ambienti espositivi, cioè essi sono spesso opere in mostra – persino il paesaggio, pur costituendo l’elemento verosimile dell’impianto, per il modo in cui è mostrato e attraverso le colonne sonore di Norbye Halvorsen viene trasfigurandosi in ambiente epico.
Questa continua tensione tra sostrato naturale e interpretazione sovrapposta genera uno stato di attesa, quasi una suspense emotiva. Componente che segnala, insieme a una conquista, la necessità di ulteriori sviluppi. Se infatti nei Sea painting, qui non presenti ma citati a titolo d’esempio, il rapporto con la natura trova già nella pratica d’intervento sulle tele una propria armonia – il concorrere della mano dell’autore col mare – che poi con apparente semplicità giunge all’osservatore, e se nelle opere scultoree il mistero della forma, rude quanto raffinata, arcaica quanto presente, ben si preserva, talvolta la somma di elementi all’interno dei film tradisce un di troppo, per quanto riguarda i riferimenti culturali sottesi e gli elementi scenici inseriti, il che può tradursi, in chi li guardi, anche in senso di meccanicità o di dispersione.
Matteo Innocenti
http://atpdiary.com/il-sistema-di-corrispondenze-di-jessica-warboys-allotropes/