Nel contesto di una discussione sul 1968 che ancora non pare trovare significazioni storiche concordanti, il modo migliore – e comunque il più sereno – per determinare l’importanza dell’evento potrebbe essere di rintracciarne i segni rimasti attuali.
Linea di riflessione questa optata da Marco Bazzini per l’allestimento della mostra 1988: vent’anni prima, vent’anni dopo e da lui riferita a una serie di studi sull’argomento, in primis a un passaggio della storica Anna Bravo: “L’assaggio di rivoluzione simbolica, e dunque politica, vissuto nella ‘presa di parola’ del maggio ha messo in scena un’altra idea di cittadinanza, in cui è decisiva la facoltà di presentare/raccontare sé stessi in autonomia”. L’idea cardine fu dunque il “partire da sé”; cioè, nella folgorante battaglia dell’impegno politico e della democratizzazione, intere generazioni scoprirono diritti e doveri connessi all’autodeterminazione. Un processo che comportò, nello specifico artistico, almeno due conseguenze: la responsabilità sociale di essere un autore e il coinvolgimento del pubblico nel processo creativo.
Il discorso si è tradotto, nelle sale del Pecci, in una raccolta di piccole personali, individualità esiziali a suggerire senza dispersioni – pur con l’inevitabile soggettività dell’ipotesi – una possibile continuità nello scenario artistico degli ultimi quaranta anni. Alcuni accenni, ovviamente a partire dall’anno della lotta.
Nanni Balestrini ri-contestualizza in termini grafici uno scontro politico già compendiato dall’opinione pubblica come articolo giornalistico, fino a escogitare un transfert di slogan dai muri della Sorbonne alle pareti della Galleria La Tartaruga. Ketty La Rocca ricerca nuovi codici visivi attraverso l’appropriazione indebita di stereotipi: il suo mezzo è la consapevole isteria di uno you ripetuto.Fabio Mauri ricerca un’umanizzazione della figura autoriale con la proiezione deIl Vangelo secondo Matteo sul corpo dell’amico Pasolini.
Nel periodo successivo, la massiva contestazione politica si stempera e si ha un ritorno a note intimiste. Ci sono i corpi immobili, tra ricordo d’infanzia e indagine espressiva, di Vanessa Beecroft; oppure i ripiegamenti antropomorfi in feltro diDaniela De Lorenzo. Giungendo a noi, al Duemila, il discorso ha spesso declinazioni geopolitiche: come negli archivi di Michele Dantini, rivelanti la faziosità della storiografia occidentale e dei suoi media; e come nel conviviale tavolo-specchio a forma di costa Mediterranea, Love Difference, a firma diMichelangelo Pistoletto.
Il percorso è certo più vasto della sintesi effettuata, ma intanto cosa possiamo concluderne? Forse che quel famoso maggio, verosimilmente punto d’inizio della contemporaneità, manterrà ancora per molto una carica contraddittoria irrisolvibile. Non solo male e neppure solo bene. Il che, trasferito all’arte – a fronte di un’innegabile potenziamento della componente concettuale -, ha significato opere, tra alienazione e ironia, oppostamente valutabili.
Matteo Innocenti
1988: vent’anni prima, vent’anni dopo
a cura di Marco Bazzini
C.Arte – Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci
Viale della Repubblica, 277 – 59100 Prato