Charles Avery (Oban, 1973; vive a Londra) dal 2004 lavora in progressione continua, dunque senza ripensamenti né variazioni sostanziali, a un identico, enorme progetto. Riproponendosi un compito non da poco, dato che l’artista “demiurgo” sta creando un mondo alternativo rispetto al nostro, ma ugualmente verosimile.
Nella fantasiosa realtà di Onomatopoeia, città centrale dell’isola The Island, la cui cartografia è rappresentata da una mappa concettuale più che geografica – del resto la filosofia è una componente costituzionale dell’intera azione – accade che il protagonista Only Mc Few, ego dell’autore, sbarchi sulle coste a seguito di una dinamica non precisata. A guidarlo da quel punto, oltre la labile traccia di una fanciulla Miss Miss, non ci sarà che l’osservazione diretta del nuovo contesto.
E mentre i paesaggi si danno nella forma di scorci isolani, il tessuto sociale rivela sembianze assai singolari: negozi e bancarelle ovunque, Creed ovvero capi di sette filosofiche, bestie ibride di nome If’En, scuri abitanti degradati, atti sessuali esposti senza remore. Anche nei processi, il mondo dimostra identità e logica specifiche. Per esempio la combinazione di etnie e condizioni diverse è lì del tutto acquisita – il diffuso brulichio umano si compone, in un rapporto di vicinanza equivalente all’indifferenza, di feticisti che leccano le bitte da ormeggio, di ierofanti in lunga veste, di reietti nascosti a bere uova, di turisti eccitati senza motivo (chi tra loro può dirsi indigeno, e chi straniero?).
A tale massa agitata e informe, spesso osservata da posizioni rialzate, fanno da contrappeso i singoli episodi umani, campionario assortito di solitudini malinconiche. Neppure manca il sacro, se in più frangenti si accenna ad un olimpo divino collocato dopo la discarica.
Una delle note più interessanti di Avery è certo l’agile ricorso a medium espressivi distinti. Si tratti di sculture piuttosto che di animali imbalsamati o di manifesti, le opere concorrono all’oggettivazione concreta dei miti, delle idee e dei concetti su cui si basa l’intero sistema immaginifico, ciò che l’artista definisce noumeni. Invece i disegni assumono un ruolo funzionale, corrispondendo al terreno attuativo di fantasie ironiche e dolenti.
Fra i testi di sapore romanzesco che orientano il percorso, risulta incisivo ed esplicativo soprattutto l’epilogo: “Ho iniziato a chiedermi se, al di là dei negozi, dei bar e delle luci di Onomatopoeia, oltre la vallata degli Dei, dove le macchine in disuso e i rifiuti vengono sparsi, al di sotto delle montagne, dei fiori, della polvere e delle ossa dei cacciatori, ci sia davvero un’isola”. Come domandarsi se ogni mondo non sia solo immaginato, e quindi se il nostro essere qui e ora, non abbia né maggiore senso né minore arbitrarietà dell’essere Mc Few nei luoghi di uno strano posto.
Matteo Innocenti
Charles Avery – Onomatopoeia part I
a cura di Lorenzo Giusti e Arabella Natalini
Ex3 – Centro per l’Arte Contemporanea
Viale Giannotti 81 – 50126 Firenze