Il linguaggio, come l’arte, non descrive. Interpreta la realtà. Allo stesso modo delle immagini, le parole sono finestre aperte sul possibile. La lezione fondamentale di Marcel Broodthaers in mostra a Bologna, al Mambo.
Il punto d’inizio potrebbe essere l’espressione di René Magritte “ceci n’est pas une pipe”; l’estensione del linguaggio operata dal maestro surrealista attraverso la rappresentazione dell’improbabile e persino dell’assurdo, in Marcel Broodthaers(Saint-Gilles, 1924 – Colonia, 1976) – che prima di tutto fu poeta – si carica di una valenza analitica più stringente. L’esposizione al MAMbo, che raccoglie circa cinquanta opere del periodo 1968-1975 tra pitture, oggetti, film e installazioni, mette in evidenza la rilevanza del discorso meta-artistico sviluppato dal belga: la scrittura considerata come spazio di frontiera tra i territori dell’arte e della lingua – quale delle due categorie comprende l’altra? – e la relazione immagine/parola come base per determinare l’aspetto ideologico dell’establishment dell’arte. Il ruolo dell’artista, la natura delle opere, le funzioni del museo; con inventiva e ironia, Broodthaers ha creato un sistema espressivo alternativo ma credibile, per testimoniare di riflesso i paradossi, i cortocircuiti e i nonsense del nostro.
Così il Musée d’Art moderne, Département des Aigles – nome che associa l’aura maestosa dell’opera a quella dell’aquila, animale reale e spesso ricondotto alla simbologia del potere – con i suoi dipartimenti, programmi e inaugurazioni, divenne la parodia anticipatrice del sistema istituzionale che regge ancora oggi.
Seppur con maggiore ironia e minore auto-referenzialità rispetto ad altri sviluppi del concettuale, questa modalità d’arte rivela un contatto diretto con la filosofia, soprattutto nell’idea comune che il linguaggio non può essere neutrale. Per entrambe esso è uno strumento potente, utilizzabile come mezzo di controllo se fissato in convezioni e norme aprioristiche, o all’opposto come mezzo di liberazione se accettato nelle sue imperfezioni e ambiguità costitutive.
Da questo punto di vista è emblematico il video La Pluie (projet pour un texte), quale tentativo inane di fissare il pensiero in scrittura: ogni parola nell’attimo stesso della sua stesura già si dissolve, e il testo resta come traccia posticcia di istanti inafferrabili.
Si pensi alla Salle Blanche, qui ricostruita secondo l’originale esposto nel 1975 a Parigi: l’interno di una casa in legno, sulle cui pareti l’evocazione della parola scritta e la realtà degli oggetti diventano una cosa unica. Significato e significante, rendendosi indistinti tra loro, confermano quanto Wittgenstein aveva precedentemente sentenziato:“I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo”.
Matteo Innocenti
(Artribune)
Bologna //
Marcel Broodthaers – L’espace de l’écriture
a cura di Gloria Moure
MAMBO – MUSEO D’ARTE MODERNA DI BOLOGNA
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