Compromessa dal sospetto, talvolta giustificato, di ridurre l’espressione artistica allo status di curiosità poco significante, l’arte cinetica non ha goduto né gode tuttora di un apparato critico particolarmente approfondito. La consistenza incerta di molte opere che le appartengono, sospese come sono tra esperimento percettivo e ludicità fine a se stessa, tracciano un limite ambiguo oltre il quale, con facilità, si può sbagliare giudizio.
Nell’incertezza vi sono comunque alcune eccezioni, limitate e importanti, il cui valore risulta del tutto condivisibile, appunto nel caso di Gianni Colombo (Milano, 1937-1993), che fu tra le personalità italiane più affascinate dalle potenzialità del movimento, non si rischiano imbarazzanti impasse: la maniera intelligente e diretta dei suoi procedimenti, dimostra una vicinanza alla filosofia più che al disimpegno. Tale giudizio, divenuto certo con la retrospettiva proposta lo scorso anno dal Castello di Rivoli, trova aggiuntiva conferma nella selezione di lavori – concentrata ma lo stesso rappresentativa – in mostra presso la Galleria Il Ponte.
All’entrata, un recenteSpazio Curvo, che si accorda alle dimensioni dell’atrio come un site specific, è punto d’inizio per una visuale complessiva su un trentennio di attività: le prime interazioni con lo spettatore Superficie in variazione e In-Out, che ancora richiedono un intervento manuale, la commistione di dinamiche meccaniche e aleatorie dellaStrutturazione fluida da muro e delleStrutturazioni pulsanti, le dissolvenze luministiche delle Cromostrutture, gli esperimenti di topologia e quelli di architettura destabilizzata.
Fondatore nel 1959 del Gruppo T e in seguito libero da ogni appartenenza, Colombo deriva concretamente la sua identità e qualità da alcuni aspetti basilari. Innanzitutto la coincidenza costante tra ipotesi di movimento e riflessione gnoseologica, per cui l’opera diviene possibilità d’indagine sul nostro modo di conoscere nello spazio e nel tempo. Quindi l’equilibrio sapiente tra produzione industriale e pratica artigianale; la semplicità funzionale dei lavori, pur nel ricorso ai materiali recenti della tecnologia, rivela una perizia carica di umanità e di passione.
La centralità dell’uomo e del suo sistema interpretativo, ha un corrispettivo specifico nella trasformazione dell’energia cinetica in moto organico piuttosto che in moto automatico, in progressione piuttosto che in linearità; ad esempio, i blocchi di polistirolo in espansione rimandano al respiro di un torace, lo sfumare alternato delle luci ad una reazione chimica.
Se a volte accade di assistere a un cambiamento immediato, da un punto all’altro senza gradazioni come nella serie degli Spazi elastici, allora sono le infinite possibilità di fruizione a garantirci che il fine non è la stupefazione, ma ancora il corto circuito con le percezioni abituali.
Nell’incertezza vi sono comunque alcune eccezioni, limitate e importanti, il cui valore risulta del tutto condivisibile, appunto nel caso di Gianni Colombo (Milano, 1937-1993), che fu tra le personalità italiane più affascinate dalle potenzialità del movimento, non si rischiano imbarazzanti impasse: la maniera intelligente e diretta dei suoi procedimenti, dimostra una vicinanza alla filosofia più che al disimpegno. Tale giudizio, divenuto certo con la retrospettiva proposta lo scorso anno dal Castello di Rivoli, trova aggiuntiva conferma nella selezione di lavori – concentrata ma lo stesso rappresentativa – in mostra presso la Galleria Il Ponte.
All’entrata, un recenteSpazio Curvo, che si accorda alle dimensioni dell’atrio come un site specific, è punto d’inizio per una visuale complessiva su un trentennio di attività: le prime interazioni con lo spettatore Superficie in variazione e In-Out, che ancora richiedono un intervento manuale, la commistione di dinamiche meccaniche e aleatorie dellaStrutturazione fluida da muro e delleStrutturazioni pulsanti, le dissolvenze luministiche delle Cromostrutture, gli esperimenti di topologia e quelli di architettura destabilizzata.
Fondatore nel 1959 del Gruppo T e in seguito libero da ogni appartenenza, Colombo deriva concretamente la sua identità e qualità da alcuni aspetti basilari. Innanzitutto la coincidenza costante tra ipotesi di movimento e riflessione gnoseologica, per cui l’opera diviene possibilità d’indagine sul nostro modo di conoscere nello spazio e nel tempo. Quindi l’equilibrio sapiente tra produzione industriale e pratica artigianale; la semplicità funzionale dei lavori, pur nel ricorso ai materiali recenti della tecnologia, rivela una perizia carica di umanità e di passione.
La centralità dell’uomo e del suo sistema interpretativo, ha un corrispettivo specifico nella trasformazione dell’energia cinetica in moto organico piuttosto che in moto automatico, in progressione piuttosto che in linearità; ad esempio, i blocchi di polistirolo in espansione rimandano al respiro di un torace, lo sfumare alternato delle luci ad una reazione chimica.
Se a volte accade di assistere a un cambiamento immediato, da un punto all’altro senza gradazioni come nella serie degli Spazi elastici, allora sono le infinite possibilità di fruizione a garantirci che il fine non è la stupefazione, ma ancora il corto circuito con le percezioni abituali.
Matteo Innocenti
Gianni Colombo – Retrospettiva 1959 – 1993
a cura di Mauro Panzera
Galleria Il Ponte
Via di Mezzo, 42b – 50121 Firenze
a cura di Mauro Panzera
Galleria Il Ponte
Via di Mezzo, 42b – 50121 Firenze