Ancora si sente l’odore dell’intonaco sulle pareti, altri interventi di sistemazione dovranno esser conclusi. Ma non importa. Più del disagio per le mancanze – comunque giustificate dai tempi di lavorazione, oltremodo ristretti – sono entusiasmo ed eccitazione ad accendere i volti dei protagonisti.
Del resto, questa nuova inaugurazione dell’Ex3 vuol essere anche un invito a cessare ogni polemica e antagonismo, per riuscire finalmente a instaurare una relazione duratura e stimolante fra il centro-laboratorio e la sua città.
Arabella Natalini e Lorenzo Giusti, collaboratori di Sergio Tossi alla direzione artistica, hanno selezionato per la prima esposizione gli artisti Julian Rosefeldt e Ian Tweedy. Rappresentanti di generazioni distinte, quindi a un livello di maturità creativa differente, hanno tuttavia vari punti di accordo: la coincidenza biografica dell’aver vissuto un periodo piuttosto lungo in Italia – fattore che inoltre vanifica un’eventuale accusa di esterofilia ai curatori – e almeno altri tre elementi fondamentali, ossia il rapporto col passato, la riflessione sulla contemporaneità e l’impostazione decostruzionista.
Julian Rosefeldt (Monaco, 1965; vive a Berlino) è autore di una sintesi singolare ed eccellente fra cinematografo e videoarte. Ricorrendo a narrazione, ambiguità e paradossi, riesce a spingere le strutture filmiche fino al punto critico che ne svela l’assoluta artificiosità. Operazione che per sineddoche va coinvolgendo le dinamiche più generali dell’esistenza umana: si tratti dell’episodio Stunned Mandella Trilogy of Failure – in cui due cinecamere speculari inseguono un duplice individuo, ego e alter ego, per invertirsi nel finale e generare un loop virtualmente infinito – oppure del viaggio Lonely Planet, smascheramento ironico dei cliché del viaggiatore occidentale, sempre si riscontra un fermo convincimento sull’arbitrarietà del senso.
Talvolta la logica e i significati sottesi all’esistere giungono da epoche lontane; è il caso di American Night, installazione distribuita su cinque schermi che sperimenta, e insieme destruttura, la mitologia western. Si prendano un improbabile cowboy nero, un dialogo fra i pupazzi di Obama e Bush, attori che citano le frasi simbolo del genere, marines in diacronica irruzione nel centro di un paesino del far west. Bastano lievi forzature perché i simboli originari americani della conquista e della fondazione del territorio si rivelino per quanto sono davvero: prova incontrovertibile delll’autoreferenzialità della storia e dei suoi valori.
Anche Ian Tweedy (Hahn, 1982; vive a Milano) ricorre all’immaginario storico, per esempio con figurazioni dei celebri aerostati Zeppelin, ma le sue finalità sono diverse. Nel giovane c’è la volontà di scovare la trama sotterranea che unisce l’individualità alla memoria collettiva.
Ne è esempio evidente il site specific The Departed in Dazzle. L’ipotesi relazionale tra elementi distanti – quali il proprio disegnare, l’emblema del soldato in partenza per la guerra, il motivo a linee diagonali caro al vorticismo – diventa tentativo di ri-attualizzare il già accaduto e il già compreso nell’ambito del presente personale.
Del resto, questa nuova inaugurazione dell’Ex3 vuol essere anche un invito a cessare ogni polemica e antagonismo, per riuscire finalmente a instaurare una relazione duratura e stimolante fra il centro-laboratorio e la sua città.
Arabella Natalini e Lorenzo Giusti, collaboratori di Sergio Tossi alla direzione artistica, hanno selezionato per la prima esposizione gli artisti Julian Rosefeldt e Ian Tweedy. Rappresentanti di generazioni distinte, quindi a un livello di maturità creativa differente, hanno tuttavia vari punti di accordo: la coincidenza biografica dell’aver vissuto un periodo piuttosto lungo in Italia – fattore che inoltre vanifica un’eventuale accusa di esterofilia ai curatori – e almeno altri tre elementi fondamentali, ossia il rapporto col passato, la riflessione sulla contemporaneità e l’impostazione decostruzionista.
Julian Rosefeldt (Monaco, 1965; vive a Berlino) è autore di una sintesi singolare ed eccellente fra cinematografo e videoarte. Ricorrendo a narrazione, ambiguità e paradossi, riesce a spingere le strutture filmiche fino al punto critico che ne svela l’assoluta artificiosità. Operazione che per sineddoche va coinvolgendo le dinamiche più generali dell’esistenza umana: si tratti dell’episodio Stunned Mandella Trilogy of Failure – in cui due cinecamere speculari inseguono un duplice individuo, ego e alter ego, per invertirsi nel finale e generare un loop virtualmente infinito – oppure del viaggio Lonely Planet, smascheramento ironico dei cliché del viaggiatore occidentale, sempre si riscontra un fermo convincimento sull’arbitrarietà del senso.
Talvolta la logica e i significati sottesi all’esistere giungono da epoche lontane; è il caso di American Night, installazione distribuita su cinque schermi che sperimenta, e insieme destruttura, la mitologia western. Si prendano un improbabile cowboy nero, un dialogo fra i pupazzi di Obama e Bush, attori che citano le frasi simbolo del genere, marines in diacronica irruzione nel centro di un paesino del far west. Bastano lievi forzature perché i simboli originari americani della conquista e della fondazione del territorio si rivelino per quanto sono davvero: prova incontrovertibile delll’autoreferenzialità della storia e dei suoi valori.
Anche Ian Tweedy (Hahn, 1982; vive a Milano) ricorre all’immaginario storico, per esempio con figurazioni dei celebri aerostati Zeppelin, ma le sue finalità sono diverse. Nel giovane c’è la volontà di scovare la trama sotterranea che unisce l’individualità alla memoria collettiva.
Ne è esempio evidente il site specific The Departed in Dazzle. L’ipotesi relazionale tra elementi distanti – quali il proprio disegnare, l’emblema del soldato in partenza per la guerra, il motivo a linee diagonali caro al vorticismo – diventa tentativo di ri-attualizzare il già accaduto e il già compreso nell’ambito del presente personale.
Matteo Innocenti
Julian Rosefeldt – American Night
Ian Tweedy – 70 Zeppelins
a cura di Lorenzo Giusti e Arabella Natalini
Ex3 – Centro per l’Arte Contemporanea
Viale Giannotti 81 – 50126 Firenze
Ian Tweedy – 70 Zeppelins
a cura di Lorenzo Giusti e Arabella Natalini
Ex3 – Centro per l’Arte Contemporanea
Viale Giannotti 81 – 50126 Firenze