Non c’è foto fashion né immagine paradossale che non ne tenga conto. L’ex enfant terrible David LaChapelle, celebrato da esposizioni e ingaggi milionari, si confronta con un nemico terribile: la propria maturità. Ne è un esempio la personale a Lucca.
Il processo particolare che ha reso David LaChapelle (Fairfield, 1963) uno dei fotografi più importanti e di certo più appariscenti dello scenario artistico a partire dagli Anni Ottanta è aver operato una contestazione interna all’assetto sociale capitalistico e consumistico. Portare alle estreme conseguenze ciò che è già in atto, secondo la lezione del suo scopritore e mentore Andy Warhol, anche a rischio di sembrare connivente (per ciò così spesso al fotografo americano si muovono accuse di superficialità e opportunismo).
Ci sono ragioni da entrambe le parti, perché LaChapelle sfrutta un gusto di massa ben definito con la coscienza della vittima: in un sistema in cui apparentemente l’oggetto prevale sul soggetto, sebbene la sostanza di esso sia l’inutilità – ecco il celebre repertorio di corpi gonfiati, cianfrusaglie in plastica e cibi iper-confezionati – la critica all’eccesso comporta di rendere eccessiva la tecnica stessa, dunque di diventare un manierista.
La mostra del Lu.C.C.A, con circa 50 scatti da una decina di serie diverse, non aggiunge elementi al discorso, almeno per chi abbia visto queste fotografie in altre occasioni; semmai ha il merito di ridare una sintesi complessiva della ricerca in questione. Appunto questa prospettiva dall’alto accende un interrogativo fondamentale sul futuro possibile dell’artista. Bisogna ormai riconoscere che il repertorio di LaChapelle non è più visionario rispetto agli sviluppi, avendo pubblicità, grafica e pornografia raggiunto livelli ugualmente parossistici. Tale non fattibilità di un ulteriore sorpasso è l’elemento di rischio maggiore, perché se il fotografo proseguisse allo stesso modo, mutati i tempi e la nostra abitudine visiva, allora da manierista si trasformerebbe in moralista e le sue immagini diverrebbero alcune tra le tante che ogni giorno accartocciamo per la spazzatura.
Altra sorte, ancora imprevedibile, si avrebbe nel caso di un ripiegamento intimista che in parte è avvenuto, in particolare con le serie Awakened e Earth Laughs in Flowers, tra l’altro con un richiamo alla vanitas che ricorda le ossessioni di Damien Hirst. Si potrebbe ritenere, citando Jean Baudrillard, che LaChapelle – giocando alla seduzione – abbia da subito riconosciuto che ci sarebbe stato un punto finale e che tale punto sarebbe stata la morte ”Seduciamo con la nostra morte, con la nostra vulnerabilità, con il vuoto che incombe su di noi. Il segreto è saper giocare questa morte in mancanza dello sguardo, in mancanza del gesto, in mancanza del sapere, in mancanza del senso”.
Assistiamo alla contraddizione che, incarnandosi, si rivolge contro il suo autore. Ogni successiva esposizione sarà occasione necessaria per apparire ancora originali, pena la degradazione a uno di quei fantocci dello star system, in drammatica ricerca della propria anima, che egli ha ritratto magnificamente.
Matteo Innocenti
(Artribune)
Perfettamente in linea con l’ambigua posizione di LaChapelle, le immagini disponibili per documentare questa mostra sono… una. N.d.R.
Lucca //
David LaChapelle
a cura di Maurizio Vanni
LU.C.C.A – LUCCA CENTER OF CONTEMPORARY ART
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