Ampliare la proposta e mettere in relazione artisti differenti. La pistoiese SpazioA inaugura un nuovo spazio-estensione. Ne sono protagonisti Francesco Carone, qui alla sua terza personale, e Giulia Cenci con un’operazione site specific.
Gli interventi di Carone e Cenci, pur diversi per pratica e articolazione del discorso, secondo anche il differente grado di maturità, in questa doppia esposizione trovano accordo nella comune tendenza alla sottrazione.
Francesco Carone (Siena, 1975; vive a Iesa) titola il proprio ensemble Muta Bellezza, espressione che sembra non episodica ma significativa della ricerca sviluppata dall’artista sino ad oggi: il riferimento va all’idea che il bello non si formi soltanto attraverso categorie estetiche determinate, ma anche dalle rivelazioni che le cose naturali e gli oggetti, relazionandosi senza controllo col nostro modo di sentire istantaneo e la memoria, agiscono su di noi. Posizione che, nonostante la robustezza formale in cui si traduce, talvolta può prestare il fianco a critiche – si legga: neo-contestualizzazione sapiente ma furba dell’objet trouvé – e che probabilmente per questo viene sempre integrata dall’autore con una componente concettuale (attinente alla costruzione di significati: tempo, uso, artificio, assurdo ecc.).
Ciò che appare invece innegabilmente personale è la riduzione, tuttora in fieri, delle modifiche sui reperti-opere rispetto al loro stato originario. Qui il processo mira, senza predeterminazioni, ma ogni volta come possibilità aperta, a ritrovare e comunicare, in virtù della sola presenza di quanto vediamo esposto, la stessa stupefazione avvertita dall’artista nell’istante della scoperta. Tronchi d’albero in sezione, vecchi schedari, telai di legno, barattoli di latta, ossa rappresentano le materie fondamentali elette a tramite di epifanie.
Giulia Cenci (Cortona, 1988; vive a Bologna e Cortona), riflettendo sulla conformazione stessa del luogo espositivo – senza incorrere davvero nell’equivoco della prossimità alle già formulate e recepite riflessioni sul white cube, poiché Halfground è la prima effettiva esperienza nello spazio adiacente alla galleria – scava lievi rientri sulle pareti come incasso per faretti la cui luce, generando ombre radenti, rivela la trama grezza delle superfici e le tracce di quanto esse hanno vissuto nel tempo. Un istante viene fissato, e a suo modo reso speciale perché ancora privo di definizioni, pur con la coscienza che dalla prossima occasione l’ambiente si darà come contenitore compiuto.
Anche in questo caso l’evocazione trae forza dalla scelta minimale artistica, lungo il confine tra l’opera e il suo contesto.
Matteo Innocenti
(Artribune)
Pistoia //
Francesco Carone – Muta Bellezza
Giulia Cenci – Halfground
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