Il progetto Early One Morning (titolo tratto da una delle opere fondamentali di Anthony Caro, del 1962) ideato da Alberto Salvadori come ricognizione al presente circa le possibilità espressive e interpretative della scultura – attraverso un ciclo di esposizioni personali e collettive in collaborazione con vari curatori – al modo di uno work in progress entra nella seconda faseLate One Morning per tutto il 2014, iniziando dalla “doppia” Glaucocamaleo di Luca Trevisani (Verona, 1979) e Drums di Marie Lund (1976, Copenaghen).
La ricerca di Trevisani è fortemente connotata dalla sperimentazione sui materiali – gradi di naturalezza e di artificialità, intervento manuale e meccanico vengono accostati con l’obiettivo di giungere a delle proposte alternative – e da una conformazione dipendente, nel senso che ogni fase piuttosto che mostrarsi come acquisizione conclusa trasmette la correlazione necessaria con quanto l’ha preceduta e con quanto la seguirà.
Un’idea e un’applicazione della metamorfosi (Trevisani forse la definirebbe un’ossessione), al livello fondamentale dei processi chimici, che trova nel filmico, medium consequenziale par excellence, un corrispettivo netto: Glaucocamaleo, presentato come ambiente video a tre canali negli spazi del Museo Marini dopo l’anteprima al Festival Internazionale del film di Roma, è in primis la rappresentazione degli innumerevoli, infiniti passaggi di stato della materia – in questo caso concentrandosi su due suoi elementi primari, l’acqua e il fuoco. Minerali, ghiaccio, ferri incandescenti, specchi ustori, strani corpi (zoomorfi? o saranno evoluzioni della vita umana in un futuro lontanissimo?) servono da fattori per la costruzione di un immaginario che, in modo analogo a quanto accade con le sculture e le installazioni “al vero” dell’artista, trasmette insieme prossimità e disorientamento – infatti pur riscontrando nelle sostanze il nesso con la nostra natura corporale, le apparenze e i modi di combinazione di esse non si dimostrano attinenti alla logica e al pensiero comune. Ampliando tale punto si potrebbe ipotizzare se non un’ispirazione, almeno una disposizione condivisa con l’epico The Cremaster Cycle di Matthew Barney; in entrambe le opere ci viene presentato un mondo alternativo ma dotato di una stringente causalità. Carattere che nella super produzione americana è garantito dall’uso e dall’abuso di simboli – sessuali, esoterici, geometrici ecc… – in Glaucocamaleo invece dal ricorso a una prospettiva su scala ridotta: se escludiamo la veduta aerea dell’inizio, gran parte del resto è rappresentazione focalizzata sui dettagli, e ciò, unito alla colonna sonora (musica più la voce di Kary Mullis, chimico premio nobel e personalità anticonformista), conduce chi guarda alla perdita dei riferimenti d’insieme, vale a dire della possibilità di dominio sulla visione.
Anche in A tribute to Geoffrey Nathaniel Joseph Pyke e Physical Examination – ritornano in essi il serpente e i minerali – vi sono energia, senso estetico e valide intuizioni; mentre il prolungamento delle durate e il reiterarsi di situazioni simili tradiscono un certo compiacimento autoreferenziale. È un equilibrio difficile; a tratti il mistero conserva la sua carica di fascinazione, a tratti diviene sovrabbondante elencazione.
La pratica scultorea di Marie Lund si colloca in una zona liminare, poiché le sue opere danno massa e presenza a ciò che intercorre tra la fase primaria della materia grezza e quella finale della forma conclusa. Piuttosto che i calchi dell’esterno, quelli ricavati al retro o dentro le copie di statue antiche greche e romane presso la Royal Danish Cast Collection, ancora calchi di gambe di pantaloni con relative cuciture, fogli di vetro modellati intorno a sculture già esistenti. Con un po’ di distanza rispetto alle fasi precedenti, in cui si avvertiva un maggiore gusto per l’unione imprevista di oggetti diversi, in questo caso la costante divengono il rigore e la purezza: sia a livello materiale – con il ricorso a gesso, cemento, legno, vetro ecc – sia a livello storico, per i numerosi riferimenti alle modalità artistiche trascorse, soprattutto quelle degli anni sessanta e settanta.
Senza sconvolgimenti le serie Attitudes, Smoke, Casts, Volunteers, Clickety Click – titoli che non nascondono una dose di ironia, come del resto il più generale Drums – sviluppano un discorso interessante a riguardo dei concetti complementari di figurazione e astrazione, presenza ed assenza.
Matteo Innocenti
ATP Diary
Glaucocamaleo, Luca Trevisani – A cura di Alberto Salvadori e Davide Giannella
Drums, Marie Lund – A cura di Cecilia Canziani e Trine Friis Sørensen
Museo Marino Marini / Piazza San Pancrazio, Firenze
fino al 10 maggio 2014