La più recente proposta della Galleria Continua, tre artisti brasiliani nati all’inizio degli ’80 e accomunati da una ricerca di tipo sociopolitico, è di stimolo a una serie di riflessioni riducibili a due punti basilari: il primo, particolare, è un segno inequivocabile di sperimentazione per una galleria generalmente concentrata su opere e modalità espositive diverse; il secondo, generale e consequenziale rispetto al precedente, al pari di altri casi simili esorta a un ripensamento circa il rapporto attuale, in ambito artistico, tra proposizione di pensieri e di visioni primariamente critici rispetto al potere e spazi (privati) che non hanno una vocazione afferente. Al posto delle irriducibili opposizioni ideologiche dei decenni trascorsi, o di una pressoché totale indifferenza, si nota ormai una maggiore disponibilità ad accordarsi al contesto – pur con tutte le determinazioni che esso comporta, non per ultime quelle economiche: ed è proprio nella valutazione di tale fenomeno che deve avvenire un cambiamento, poiché non si renderebbe giustizia alla realtà semplificandolo quale indice di debolezza rispetto a un’omologazione che tutto mastica e metabolizza; vale a dire che la tendenza in atto potrebbe piuttosto derivare da una coscienza inedita, più fluida rispetto al passato e perciò capace di indirizzare ogni risorsa, in maniera letteralmente strumentale, verso gli obiettivi che si ritengono giusti.
Prossimi per formazione e per esperienze espositive – tutti infatti collaborano con la Galeria Vermelho di San Paolo – Marcelo Cidade, Jonathas De Andrade e André Komatsu hanno pensato e costruito un progetto di reciproche corrispondenze ed integrazioni (ad una prima visione si fatica addirittura ad attribuire i rispettivi interventi). Ad emergere dal complesso delle opere sono soprattutto afflizione e impegno alla trasformazione, rispetto a delle condizioni profondamente contraddittorie: incidono ancora sulla storia e sull’identità del paese d’origine la colonizzazione, i flussi migratori, le dittature militari e i continui rivolgimenti al potere. Convergendo verso tali tematiche e ricorrendo a materiali essenziali – tra cui cemento, ferro, vetro, carta – i tre artisti, ognuno secondo una particolare sensibilità, danno esito a installazioni in cui a valere sono tanto le componenti estetiche quanto quelle analitiche.
Nel 2012 Jonathas De Andrade (Maceió, 1982) realizza O Levante, progetto che attraverso l’escamotage di una scena filmica da girare in Recife, si propone di organizzare la prima corsa di carri trainati da cavalli (1a Corrida de Carroças no Centro da Cidade do Recife), in ciò contravvenendo alle leggi che a seguito delle modificazioni urbanistiche hanno proibito il possesso di animali da fattoria in città. L’evento, vero e fittizio insieme, è una dichiarazione orgogliosa, seppur episodica, del carattere rurale delle regione. L’installazione in galleria si compone di una sequenza fotografica numerata, di scritture inerenti la corsa in sé e questioni politiche, vario materiale documentario. Ha la stessa impostazione seriale, e un carattere ugualmente sospeso tra cruda attualità e bisogno di lirismo, Maré, 112 fotografie realizzate nel corso di un ciclo lunare, ora stampate su legno, con oggetto la marea e gli incontri omosessuali che in tale periodo naturale si sono svolti negli anfratti sottostanti di un locale-club.
In De Andrade è come se la realtà sociale venisse accomunata a una superficie: continua e resistente ad una visione distante, oltremodo complessa non appena ci si avvicini ad osservane l’effettiva consistenza. Approccio che condivide più aspetti con l’antropologia.
André Komatsu (San Paolo, 1978) e Marcelo Cidade (San Paolo, 1982) prendono ispirazione dagli stessi processi e materiali con cui è stata operata, e tuttora prosegue, la modificazione epidermica del paese – con effetti positivi e negativi a partire dagli interventi di Le Corbusier e dalla colossale costruzione di Brasilia progettata da Lucio Costa e Oscar Niemeyer. Vi è in entrambi un senso di resistenza, da intendersi in una doppia accezione: protezione delle origini ed esortazione a una maggiore consapevolezza negli sviluppi futuri.
In Komatsu ciò si traduce in un’indagine sull’equilibrio e sull’instabilità, o meglio sulla zona liminare, ambigua, che intercorre tra uno stato e l’altro. Febre de Ouro è un insieme di cinque recinzioni sempre più strette, al cui interno la quantità di luce cresce in modo inversamente proporzionale alle dimensioni dello spazio disponibile e dunque alla possibilità di accedervi. Troncho è una stesura di strati pittorici tra loro sfalsati eppure rispettivamente “in squadra”. Base Hieráquica, serie che viene modificata in ogni paese, mostra la solidità dei bicchieri popolari, di fattura ordinaria, nel sostenere il peso di alcuni mattoni, mentre un calice più prezioso giace accanto, infranto.
Cidade interviene disseminando segni simbolici nello spazio. Per esempio Cancer, piccole masse di carta e cemento dislocate in parti più o meno visibili della galleria. Oppure Equílibrio entre proteção e resistência, messa in relazione tra coperte spartane e giacche mimetiche, come corrispettivo dei rapporti di forza all’interno della popolazione.
Complessivamente l’esposizione non è immune da un certo didascalismo (corrispettivo difficilmente evitabile in questo tipo di ricerche), e vi si potrebbe aggiungere che molte delle modalità formali rispondono a criteri di immediatezza e di prassi, essendo già ben note al linguaggio artistico, piuttosto che di originalità – uso di materie povere o comuni, opposizione tra pesi e consistenze, elaborazione dei documenti per un’interpretazione alternativa degli eventi ecc. A prevalere è comunque la sincera partecipazione tramite cui i tre artisti si rapportano alla storia presente: il loro sforzo bene esprime la situazione di un paese potenziato/disorientato dalla rapida crescita economica, bisognoso di osservarsi criticamente per riconoscersi infine in un’identità libera dai condizionamenti. Lo stesso processo avvenuto in Europa a seguito del secondo conflitto mondiale, i cui risultati sembrano da tempo decaduti al fondo delle nostre coscienze.
Galleria Continua
via del Castello, San Gimignano, Siena
fino al 17 maggio 2014
Matteo Innocenti
ATPDiary