Le Ballads del jazz hanno un ritmo più lento del normale e la loro cadenza fluttuante, di armonia diluita, offre ai musicisti una dolce sospensione, entro la quale ripercorrere, fra stupore e malinconia, l’intricata linea che dal passato porta al presente. Appunto memoria e musica compongono insieme l’inizio della mostra di Marco Paoli(Tavarnelle Val di Pesa, Firenze, 1959; vive a Firenze).
Personalità con tanti gusti e inclinazioni, dalle rose alla recitazione, ma innanzitutto fotografo – intendendo con ciò, secondo il testo scritto da Daniele de Luigi per il catalogo, “il non resistere all’attrazione di esplorare il mondo” – Paoli ha deciso di combinare per sovrapposizione scatti appartenuti a momenti diversi, così da riaverne immagini nuove e più evocative, apparizioni simili a materializzazioni del ricordo.
È una tecnica precisa, oltre l’intuizione, a rendere possibile tale operazione: fotografie della realtà esterna e fotografie di tele trattate o di altre superfici materiche vengono unite in fase di editing con varie gradazioni di trasparenza e diversa selezione del fuoco, quindi completate dall’applicazione di cera d’api (anche mescolata a pigmenti). Questa miscela di ingredienti, che connette pratiche artigianali a elaborazioni digitali, è la struttura portante delle ballate.
Con funzione esemplificativa – in galleria vengono esposte quindici opere di un corpus più vasto – si possono citare Chan Chan, tre ballerine in forte controluce sullo sfondo di una texture, oppure Dal treno per Roma, unione in “presa diretta” di tre aspetti legati alla capitale.
Marco Paoli si muove con sicurezza. In quanto professionista, ha pratica della tecnica fotografica e della postproduzione; in quanto osservatore, ha felici intuizioni nella costruzione delle inquadrature. E però, proprio tale perfetto gioco d’incastri finisce col nuocere all’autore: livelli e dettagli, numerosi oltremodo, si ricompongono quasi sempre in sintesi aggraziate ma prevedibili. Soltanto in occasione di certi particolari, vedi una misteriosa silhouette incorniciata da una porta o magari un movimento tanto repentino da astrarre un corpo umano, il fotografo procede oltre il gusto della rappresentazione.
Dunque, è la mancanza degli imprevisti – di quei resti inattesi che dimostrano quanto poco controllate dalla volontà e dal senso estetico siano le associazioni del processo mnemonico – a costituire un limite per la personale. O, meglio, a dirci ciò che essa è: una tappa affascinante ma incompleta, cui dovrà seguire ancora un intenso lavoro.
Matteo Innocenti
Marco Paoli – Ballads
Galleria Alessandro Bagnai
Via Salutati, 4r (zona piazza Gavinana) – 50126 Firenze