È un’intrigante e piacevole meccanismo ironico a far sì che le opere diRagnar Kjartansson (Reykjavik, 1976) procedano agilmente fra i temi opposti della vita e della morte. Partendo da un codice noto – assimilabile allo sketch cinematografico e televisivo, ma rispetto ad essi allungato nella durata, per la ripetizione assurda di un medesimo atto – sono svelati alcuni dei nodi celati dalla normalità: come se la distensione temporale si traducesse in ingrandimento visivo e dunque lo sguardo, invitato a insistere, potesse scrutare oltre la trama degli eventi.
In Me and My Mother la condizione apparente è la semplicità; ambiente domestico comune, inquadratura fissa a due, madre e figlio fianco a fianco. Ecco che di colpo la scena deflagra: la mamma, l’eclettica attrice islandese Gudrun Asmundsdottir, prende a sputare con disprezzo e regolarità sul volto del remissivo Ragnar. Una situazione che, al posto del noto complesso edipico, riafferma la primigenia influenza della figura materna nello sviluppo individuale; e più in generale suggerisce come ogni rapporto emotivo interpersonale sia sempre una congerie di pulsioni contrastanti. Tutta questa saliva in faccia – materia di una performance che si è ripetuta ogni cinque anni e che si ripeterà fino a quando lo consentirà la salute degli attori – è una nemesi surreale in risposta a qualsiasi capriccio o crudeltà filiale.
Mentre la componente performativa si ripete in Satan is Real – con l’artista sepolto a metà nella terra per più di un’ora, variando infinitamente un medesimo ritornello – il piglio dissacratorio trova sviluppo in Death and the Children, breve e imprevista gita al cimitero, con la morte a guida di una scolaresca elementare. Qui gli scambi di battute e le domande insistite dei bambini, per la loro curiosità innocente, si dimostrano divertente antidoto alle pastoie “metafisiche” (e appunto questa naturale irriverenza dell’infanzia è il punto di contatto forte con il pensiero dell’artista).
The Hanging Pornographic Sea, serie pittorica raffigurante un agitato mare notturno, e soprattutto Hot Shame – The Quest of Shelley’s Heart, immagini ad acquerello del cuore del poeta inglese – secondo la leggenda, l’organo fu recuperato intatto dalla cremazione funebre e poi conservato dalla sorella scrittrice – sono insieme espressione di un’indole tardo-romantica. Il romanticismo rappresenta per Kjartansson una riserva speciale in cui ritrovare temi, motivi e argomenti da trattare alla luce della coscienza contemporanea, il che si traduce, appunto, in stile canzonatorio.
Dotato di un carattere timido ma pieno di talenti, il giovane islandese riesce ad affascinare d’acchito; lo scotto per tale immediatezza è però il dubbio se tutti gli elementi proposti, eventualmente sommati e sviluppati, non interessino più il medium filmico piuttosto che la videoinstallazione. La simpatia beffarda, sebbene non sfrontata, genera la suggestione di un moderno Keaton islandese.
Matteo Innocenti
Ragnar Kjartansson – Me and My Mother
a cura di Lorenzo Giusti e Arabella Natalini
Ex3 – Centro per l’Arte Contemporanea
Viale Giannotti 81 – 50126 Firenze