A colloquio con il direttore dell’Osservatorio per le Arti Contemporanee e, da qualche mese, primo direttore artistico del Museo Marini. Alberto Salvadori ci parla del suo doppio incarico. E del complesso rapporto tra Firenze e la contemporaneità…
Iniziamo con il Museo Marino Marini. In quale tipo di programma rientra la decisione d’incaricare un direttore artistico?
Innanzitutto vorrei precisare la natura del mio doppio ruolo: non c’è un legame diretto tra l’Osservatorio per le Arti Contemporanee, l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze e il Marino Marini. Il museo riceve finanziamenti dal Comune per circa il 40%, il resto proviene quasi interamente dalla Fondazione Marini, su decisione di un consiglio d’amministrazione. Chiarito questo, la nomina di un direttore artistico servirà a realizzare una programmazione museale viva e coerente. L’idea di base, trattandosi di uno spazio comunale, è aprirsi il più possibile alla città. Poiché disponiamo di un ambiente accogliente, situato nel centro storico e dotato di 3mila metri quadri, agire in tal senso diventa un obbligo nei confronti del pubblico e una necessità per rivitalizzare la nostra istituzione.
Nel concreto?
Lavoreremo su monografiche di giovani artisti. Inoltre, con un’impostazione dialogica rispetto al lavoro di Marini, ogni anno realizzeremo almeno una o due mostre sui grandi protagonisti del Novecento (non per forza si tratterà di scultori, anzi avremo spesso “incursioni” in altri linguaggi). Oltre a intensificare la sezione didattica e gli incontri letterari, dal prossimo autunno svilupperemo un programma musicale in collaborazione con Tempo Reale. Insomma, il museo sarà sempre disponibile, tanto che modificheremo gli orari d’apertura. Ah, un’ultima cosa, una vera sorpresa…
Quale?
Riapriremo il Santo Sepolcro Rucellaidell’Alberti, entro la fine di quest’anno o i primi mesi del prossimo. Importante sottolineare che vi si accederà senza biglietto, poiché si tratta di un omaggio alla città della Fondazione Marini, sostenitrice di tutte le spese. Lo consideriamo un atto dovuto, sia per ricostituire l’unità interna della Chiesa di San Pancrazio che per riportare alla luce un tesoro nascosto.
Passiamo all’Osservatorio per le Arti Contemporanee. Dall’esterno non se ne ha ancora una percezione distinta…
È normale che non se ne sappia molto, dato che abbiamo lavorato per due anni silenziosamente, quasi nell’anonimato. Il fatto è che, se il progetto Oac non avesse potuto svilupparsi per mancanza di fondi, una sua pubblicizzazione sarebbe stata scorretta verso gli operatori e verso la città. Adesso che abbiamo le opportune garanzie da parte dell’istituzione [l’ente bancario,N.d.R.] potremo “uscire” ufficialmente. È probabile che avverrà dopo l’estate.
Quali sono la natura e gli obiettivi del progetto?
La funzione principale dell’Osservatorio, diretto da me con la supervisione di Carlo Sisi, è di operare una selezione fra le espressioni cittadine del contemporaneo e parteciparvi a livello produttivo. Nella scelta non rientrano solo le arti visive, ma anche cinema, teatro, musica, architettura e così via. La finalità è la valorizzazione del territorio fiorentino. Preciso che il mancato intervento in altre province non è una scelta ideologica, ma un obbligo che ci deriva dallo statuto della fondazione bancaria.
Come vi muoverete?
Partecipiamo alla produzione dei progetti che ci sembrano più meritevoli, secondo precise modalità. Innanzitutto non interveniamo mai con finanziamenti al 100%, perché vogliamo stimolare le capacità altrui di fare impresa, come se la nostra fosse una politica di sussidio. Inoltre, il coinvolgimento avviene per “chiamata”, così da eliminare tutto l’iter burocratico di bandi, deliberazioni ecc. e guadagnare in termini di operatività. È inoltre importante sottolineare che non tolleriamo assenze di contrattualizzazione, quindi imprese con lavoratori a nero: il nostro è un progetto che potremmo definire “etico”, nonché teso alla professionalizzazione dei ruoli.
Alcuni dei progetti co-prodotti dall’Oac?
Abbiamo realizzato molto: varie collaborazioni con Virgilio Sieni, un programma di Tempo Reale sulla musica concreta, alcune delle produzioni di Fabbrica Europa – tra cui Wild, che continua a girare nei festival europei -,Westdi Kinkaleri. Ricordo anche tutte le mostre Base dell’ultimo biennio e le iniziative presso BardiniContemporanea. Direi che, tra il 2007 e il 2008, l’Osservatorio ha realizzato 45 co-produzioni, con una dozzina circa di soggetti.
Dunque l’Oac, il Cccs, le polemiche intorno all’Ex3 sono segnali di una nuova vitalità del contemporaneo a Firenze?
Qui dobbiamo approfondire il discorso. Voi sapete bene che ciò che non si comunica non esiste. Mi pare che questo sia il problema di Firenze. In città ci sono realtà di estrema qualità, contestualizzate a livello europeo, che agiscono già da tanti anni, da molto prima che arrivassimo noi o la Strozzina. Sto parlando di Cango, Tempo Reale, Base, Fabbrica Europa e altre ancora. Ovvio che ogni nuova iniziativa è un valore aggiunto, ma prima dobbiamo migliorare la promozione.
Quindi il rapporto deficitario di Firenze col contemporaneo sarebbe soprattutto apparenza?
Esiste una Firenze sclerotizzata, una sorta di grande parassita che vive di una rendita mai incrementata, cioè del business turistico. E poi esiste una Firenze – più reale e meno immaginata – fatta d’individui che, pur amando il Rinascimento, desiderano vivere una quotidianità diversa. Ebbene, queste persone sono il pubblico del contemporaneo.
Allora cos’è che non funziona?
Firenze ha cessato di “esistere” quando ha rinnegato la sua vocazione alla sperimentazione, storicamente quando i Medici hanno musealizzato le proprie collezioni. Ci sono però stati altri momenti interessanti: si pensi solo al periodo tra il 1970 e il 1980 con i Radicali fiorentini, l’atelier di Tadeusz Kantor, la permanenza mensile del Living Theatre. Spetta alle diverse realtà, ancora troppo disperse, riuscire a dialogare e riportare la città a una dimensione di laboratorio.
Quali risultati ti aspetti dalle diverse iniziative?
Per quanto riguarda il Museo Marini, c’interessa svolgere un buon lavoro; non siamo in competizione con nessuno. Abbiamo una natura diversa rispetto alle altre istituzioni museali: i nostri visitatori sono spontanei, nel senso che non rientriamo in alcun “pacchetto” turistico, e il budget di cui disponiamo è inferiore alla media. Considerando le 22mila presenze annue, fra cui molti studenti, direi che il costo unitario per ogni visitatore ci colloca in una fascia altamente redditizia. I risultati dell’Oac sono già straordinari perché in un biennio, con investimenti contenuti, abbiamo partecipato a numerose produzioni di qualità. Quanto ci preme è instaurare collaborazioni fattive, grazie alle nostre competenze in materia. Nel settore pubblico raramente ci sono persone in grado di leggere la qualità dei progetti, perché manca una reale conoscenza linguistica. Noi invece lavoriamo fianco a fianco agli operatori, promuovendone l’attività di ricerca, ma senza assillarli con l’ansia del risultato. Potremmo dire che il nostro è, in fondo, un invito per le istituzioni: credere nella contemporaneità, crederci assolutamente.
Matteo Innocenti
Museo Marino Marini
Piazza San Pancrazio – 50123 Firenze