Le installazioni di Uri Aran (Gerusalemme 1977) interessano più livelli d’interpretazione, tra loro complementari; se l’insieme espositivo rivela una scrupolosa costruzione di pieni e vuoti, differenze e ripetizioni, ciò che si potrebbe definire come “ritmo”, le singole opere valgono a esplicitazione di analoghi processi combinatori (attuati, in potenza, inibiti che siano). Ritorna in ogni caso l’attenzione a un punto, centro della ricerca espressiva: ovvero la verifica delle strutture.
Il modo in cui ci relazioniamo con gli altri esseri umani e animali, la condivisione delle pratiche sociali, la prossimità e l’uso degli oggetti, il linguaggio del corpo e quello verbale; si tratta d’enfatizzare l’aspetto costrittivo e convenzionale di una serie amplissima di dinamiche per rendere di esse, senza forzatura ma con un certo grado di paradosso, una versione critica. Da ciò si desume perché Aran scelga di ricorrere così spesso al ludico, sia nella forma dell’accumulazione compulsiva di elementi estranei – una palla da biliardo spezzata su una lista di legno, una foto tessera vicino a strane sostanze collose; vi è un gusto da bricoleur, al modo che fu dei nouveaux réalistes – sia nella forma del vero e proprio gioco partecipativo con regole discrezionali: scriveva lo storico olandese Johan Huizinga nel suo Homo Ludens “Con quei giochi la collettività esprime la sua interpretazione della vita e del mondo. Dunque ciò non significa che il gioco muta o si converte in cultura, ma piuttosto che la cultura nelle sue fasi originarie, porta il carattere di un gioco.”
A seguito della partecipazione all’ultima Biennale di Venezia nel palazzo enciclopedico di Massimiliano Gioni, in un’area dedicata a “cataloghi, collezioni e tassonomie più o meno impazzite”, l’artista israeliano viene presentato da Peep-Hole con la personalePuddles. Elemento principale è il grande blocco di cemento Untitled, allo stesso tempo barriera architettonica che attraversa e scandisce le tre sale dello spazio e dispositivo d’interazione con/tra le persone: in riferimento al divertimento condiviso da ogni società sin dai tempi remoti, la lunga superficie dell’opera presenta numerose cavità da centrare con delle rudimentali biglie, così da ottenere quale premio, o palliativo, un biscotto a forma di osso. Il meccanismo non prevede disposizioni, saranno di volta in volta i partecipanti a crearne secondo volontà. Differentemente le altre sculture, di dimensioni più contenute e sparse in vari punti, alternano invito alla complicità e impossibilità concreta di agirvi – per esempio con un volante che non serve a niente, o con altri oggetti rotti, bloccati ecc.
L’interrogazione a riguardo dell’azione spontanea e dell’obbligo è uno dei tanti espedienti messi in atto dall’artista; sulla stessa linea si collocano la tripla ripetizione video, al rallenty, dell’empatico abbraccio col proprio cane in un ulteriore Untitled, nonché la registrazione dei possibili comportamenti in risposta a una situazione di Mud (Multicolored Blue) – due individui, tra cui il gemello dell’artista, sperimentano una gamma di reazioni corporee e di espressioni facciali rispetto all’azione di leggere un libro e di rientrare in casa con le scarpe sporche, mentre delle risate di sottofondo, stile sit-com, rendono l’effetto ulteriormente straniante.
In realtà la carica fascinatoria e perturbante di Uri Aran non si ritrova tanto nell’intervento sui materiali e sui concetti – del resto il recupero di cose povere, piuttosto che l’impostazione decostruzionista sono modalità abusate al punto da rappresentare un pericolo più che una risorsa – ma nel sapore “arcaico” dei resti conseguenti all’attività manipolatoria: che la materia sia pietra, disegno o segnale elettronico, le opere appaiano simili a tracce di un’archeologia “al presente”. Come dire, è la nostra civiltà ridotta ai minimi termini, persino esposta a brandelli, però le cause non coincidono alle devastazioni naturali o al logorio persistente dei tempi lunghi, semmai alle accelerazioni di un’immaginazione critica.
Matteo Innocenti
(ATP Diary)
Peep-Hole / Via Stilicone 10, Milano