I tentativi verso una prossimità tra la dimensione artistica, che di per sé è sempre rappresentativa di qualcosa di ulteriore, e la prassi aderente alle funzioni che viene svolta nel quotidiano, assumono un certo grado di concretezza quando vengono declinati a un’idea delimitata di utilità, come avvenuto con carattere programmatico soprattutto nella produzione industriale e nell’architettura, volendosi riferire a una eredità culturale non troppo lontana, durante quel modernismo che dà i primi segni al principio del novecento. Discorso differente e più complesso invece è provare a delineare quale e quanta sia la portata generale dell’arte al livello del sensibile, rispetto alle personali attitudini a guardare ed esperire il mondo: poiché qui tutto diviene insieme più organico e più vago, la stessa dimensione temporale si allenta, quasi dissolvendosi – i segni di ogni tempo, giungendo alla soglia della recettività, possono concorrere per dinamiche infinite alla costituzione del nostro modo di essere.
Attraversando questi estremi tra loro in relazione, riferibili all’oggettività e alla soggettività – più nello specifico: a ciò che dell’oggetto diviene mezzo di sensibilità – la ricerca di Paolo Parisi trova vie di costante approfondimento. Tale specifico, così importante perché inerente lo statuto ontologico stesso dell’arte, viene formalizzato in serie “aperte”: sia nel senso di reciproche derivazioni ed influenze, sia nel senso di interni ampliamenti e trasformazioni che, nel rispetto di un impianto basilare rigoroso, vengono derivati dal confronto con la particolarità dei luoghi e delle situazioni. Così il progetto Unité d’habitation sviluppato a partire dal 2010, nel titolo citazione diretta delle costruzioni architettonico-urbanistiche di Le Corbusier, venuto nel tempo costituendosi come modulazione continua di pittura, scultura, disegno, incisione per porre in rapporto l’ideale funzionalista – di cui si assume a emblema l’elementare scansione di linee ortogonali – con la sostanziale non funzionalità dell’arte, qui prende una forma ulteriore: piattaforma/platform di ospitalità per esperienze/eventi di condivisione. Una zona di apertura “in comune” tra l’ambiente, la propria ricerca e il rapporto con l’altro-da-sé: è proprio in tale zona che si rende possibile la trasformazione di un luogo in “luogo per essere”, secondo l’attitudine da cui scaturisce il ciclo A place to be nella sua interezza. Un manifesto-opera inedito, presente dall’ingresso, riporta la scansione di appuntamenti lungo tutto il periodo della mostra.
Come un nucleo cui si giunga per vari gradi, il percorso nella sua interezza è costruito tramite l’incontro con alcune delle opere e installazioni della ricerca dell’artista. Una grande Unité d’habitation nera, la cui suddivisione pittorica superficiale, evidente e materica pur nell’essenzialità dell’andamento, diviene essa stessa creazione “percepibile” dello spazio, una vibrazione che, all’atto dell’osservazione, insieme assorbe e restituisce quanto la circonda. Tre U.s.a.i.s.o (acronimo di: Uno sull’altro in senso orario): sculture di forma abitativa sovrapposte a coppie, l’inferiore in cartone e la superiore, come un calco, in gesso; lo spostamento orario di una rispetto all’altra, distinguibile per la presenza di un accesso, come una variazione dell’identico pone la questione della riproducibilità, ossia di quella successione che va dall’unico alla sua ripetizione – si tratta in questo caso sempre di una singola copia, ma è quanto basta a suggerire l’eventualità di una ri-produzione infinita.
Con fattori di affinità alcune Terre Emerse (2000-2002), esposte per la prima volta, composte da strati di cartone su cui l’artista è intervenuto con il colore, riguardano il confronto tra identità e differenza; anche in questo caso all’estrema semplicità strutturale corrisponde una altrettanto estrema sofisticazione degli effetti inerenti la percezione e la comprensione, infatti ciò che d’acchito appare come una superficie uniforme, se osservato di lato (spostamento del punto di vista tradizionale) svela una stratificazione rispetto a cui non vi sono soluzioni di continuità, l’estensione è contemporaneamente frammentata e continua, l’opera singola e composta.
Nella zona superiore, una riedizione di Il problema della condivisione dello spazio in architettura e rispetto al colore della pittura. …e il pulviscolo atmosferico (2012), a trasformazione della luce naturale in colore, trattandola come una materia pittorica: pittura che non si esaurisce nella contemplazione ma che invade lo spazio reale e diviene dimensione esperibile ad un livello totale, fino alla sua praticabilità – camminare nel colore, parlare, respirare…
Tutte le opere/installazioni, pur autonome, nella specificità dell’esposizione concorrono alla definizione di un punto focale, appunto la piattaforma degli eventi. Il primo, ad apertura della mostra, è l’intervento sonoro Live Electronics del musicista Tommaso Rosati, a partire dal girato inedito dell’azione Nomi dei Colori Classici (Sinfonia); in un processo di stratificazione, ri-attuato in tempo reale, l’opera video-audio di partenza, già a sua volta derivata da un processo di improvvisazione, diventa stimolo per una nuova composizione.
Seguendo una nota d’ispirazione, che riguarda le varie declinazioni di significato dell’abitare (avere, esserci), seguiranno:
Kinkaleri Stealing 28 ottobre
Marco Meozzi Into Architecture 11 novembre
Fabio Cresci+Enrico Vezzi>Remo Zanin Orientarsi 25 novembre
Vittoria Ciolini+Alba Braza+4 figure misteriose Infinito 2 dicembre
Matteo Innocenti
Unité d’Habitation (Platform)
Paolo Parisi
14 ottobre – 2 dicembre 2016
14 october – 2 december 2016
a cura di | edited by Matteo Innocenti
in collaborazione con | in collaboration with Luca Gambacorti