MATERIA VIVA
in dialogo con David Casini
Matteo Innocenti: David, vorrei iniziare questo dialogo da un’eredità con cui sempre dobbiamo, e vogliamo, porci in rapporto: la storia dell’arte.
In una fase piuttosto recente della tua ricerca, è diventata componente esplicita e, mi verrebbe da dire, “viva” – mentre di solito, all’interno di un percorso personale, i riferimenti ad altre opere e ad altri autori si tende a contenerli, come qualcosa che si è interiorizzato a modo proprio. Proviamo a fare un racconto di questo processo? Quando e dove ha avuto avvio?
David Casini: Confrontarmi con la storia dell’arte e con i maestri del passato per me rappresenta un laboratorio di sperimentazione, un’esigenza naturale che mi appartiene da sempre. È anche e soprattutto una dichiarazione d’amore: la storia dell’arte mi nutre e m’ispira, me ne impossesso rielaborandola, a volte esplicitamente altre in maniera più dissimulata.
Mi sono sempre interessato a particolari autori o periodi storici, includendo o reinterpretando nei miei lavori anche opere minori o non troppo conosciute. È il caso della serie di sculture nei cui titoli riecheggiano capolavori del Rinascimento italiano, che ho replicato in maniera del tutto surreale: ad esempio Madonna Casini (detta anche del solletico) del 2017, una scultura pendula nata dalla scomposizione e stilizzazione del piccolo dipinto omonimo realizzato da Masaccio nel 1426. Tra i diversi elementi astratti che assemblano un paesaggio onirico, è riconoscibile una mano, frammento che riconduce l’opera all’immagine di partenza.
Sempre le mani, anzi meglio i gesti, sono il trait d’union con un’altra serie scultorea (Geometrie per un canone rovesciato, 2015) ispirate alle figure in terracotta del Compianto sul Cristo Morto di Niccolò dell’Arca (tra il 1463 e il 1490).
In altri lavori il processo “digestivo” dell’opera d’arte comporta un fare “a pezzi” l’immagine, destrutturandola e rendendola irriconoscibile, anche grazie all’interazione con altre forme e materiali. È il caso delle opere dedicate a un artista immenso come Pablo Picasso, in particolare quelle riprodotte sui cataloghi degli anni Cinquanta e Sessanta in forma di tavole separate incollate sulle pagine. Proprio da qui è iniziato il gioco di traduzione e camouflage delle immagini, anche per superare le limitazioni imposte dal diritto d’autore.
Hai ragione, soprattutto ultimamente mi piace dichiarare questo dialogo in maniera manifesta come se si trattasse di una vera e propria “appropriazione” della storia dell’arte quale materiale vivo, parte di un immaginario collettivo in costante divenire. Lo faccio anche cambiandone la funzionalità, come nelle opere presenti in mostra: i volti di Paul Klee, scansionati dai cataloghi e ingranditi, diventano maschere in ceramica; la testa di Medardo Rosso, rimodellata da uno studente dell’Accademia di Belle Arti di Firenze solo ed esclusivamente sulla base di immagini bidimensionali, è diventata poi a tutti gli effetti uno scrigno-pochette.
In questo senso è indicativo il titolo che ho scelto per la mostra: Eliminare la carne. Mi piace che induca a pensare ad altro, tragga in inganno, come uno scherzo di Carnevale, dato che inauguriamo il giovedi grasso. E per l’appunto Carnevale significa proprio “Carne levare” ovvero eliminare la carne dal banchetto in vista della Quaresima. Nei lavori esposti c’è infatti una sottrazione, una rinuncia, in cambio della possibilità di trasformazione e rielaborazione di una materia viva (l’opera d’arte).
D’altro canto tutto questo viene fatto come se fosse un gioco libero e liberatorio, come le feste dionisiache da cui ebbe origine il Carnevale – in cui si realizzava un temporaneo rovesciamento dell’ordine costituito attraverso lo scherzo e la dissolutezza. Un momento che proprio perché ben delimitato temporalmente permetteva attraverso lo sconfinamento nel caos di rinnovare ruoli sociali e gerarchie. Forse, per questo, gli ultimi lavori possono anche sembrare provocatori, perché giocano letteralmente con immagini di opere di tale e immenso valore artistico.
MI: Prima di alcune domande su aspetti specifici della mostra, vorrei soffermarmi ancora sull’aspetto che hai appena messo in rilievo.
In occasione del tuo progetto inizia l’attività della Portineria, che come sai ha tra i suoi obiettivi anche il confronto e il dialogo con gli abitanti della zona cittadina in cui ci troviamo (ciò in modo specifico, non esclusivo).
Chi sono per te, le persone che guardano queste opere? Qualcuno che è già in grado di cogliere i riferimenti artistici del passato o qualcuno che incuriosito vorrà scoprire di che cosa si tratta?
DC: Sono entrambe le tipologie. Mi piace l’idea che qualcuno possa scorgere il riferimento, riconoscendolo, ma anche che le persone si possano soffermare sulle opere incuriositi semplicemente da ciò che appare, da una forma, un materiale, un’immagine. Ho voluto non a caso progettare un ambiente che possa ricordare uno spazio abitativo, che però ha qualcosa di straniante, magico, che attrae l’attenzione, a cui si accede attraverso un elemento architettonico particolare.
MI: Mi piacerebbe che raccontassi quando e come sono scaturite le singole intenzioni di intervenire su Picasso, Klee e Rosso.
DC: Tutto ritorna, anche nella storia dell’arte, quindi perché non alimentarsi di ciò che hai amato? D’altra parte sono autori così immensi che riservano sempre delle sorprese.
MI: Nella tua ricerca il rapporto con le “tecniche” ha molta importanza – mi riferisco in maniera specifica alla scelta dei materiali, a come li lavori e li assembli: nel nostro caso, penso ad esempio alla cornice del camino, alle stampe su ceramica per le maschere…
DC: Fondamentale, direi. Da sempre mi sono misurato con le tecniche manuali, provengo da un’educazione accademica pittorica che poi si è sviluppata attraverso la scultura in ceramica, la lavorazione dell’ottone, della carta, del vetro, della pietra, del legno ecc. Parallelamente mi piace lavorare anche con le ultime tecnologie come la stampante 3d, il laser UV e le resine epossidiche, in molti casi ponendole in relazione con le tecniche manuali stesse.
MI: Quando abbiamo parlato della mostra, durante le prime fasi, ci siamo resi conto che il volto sarebbe stata una costante; in modo diretto o indiretto ritorna nelle maschere, nella pochette, e nel lavoro della serie pagg. Non ci abbiamo poi riflettuto in modo particolare, per cui mi viene adesso di farti la domanda: che cosa pensi che significhi?
DC: Credo che alla fine il volto ritorni sempre perché lo intendo come maschera. Non a caso la parola “persona” deriva dal termine greco usato per definire la “maschera dell’attore”, nel teatro antico. Persino il caminetto, che funge da passaggio a un’altra dimensione, è mascherato. La scelta di riprodurlo in cartapesta, con effetto finto legno, riporta anch’essa al gioco del travestimento, o meglio al gioco dell’assurdo, dato che questo materiale non può andare bene per un elemento che debba contenere e alimentare il fuoco.
David Casini è nato a Montevarchi (Toscana, Italia). Attualmente vive e lavora a Bologna. L’artista lavora con la scultura e l’installazione site-specific. Ha esposto in mostre personali presso CAR DRDE (Bologna), Plutschow Gallery (Zurigo), MAR Museo d’Arte Moderna e Contemporanea (Ravenna), Analix Forever Gallery (Ginevra), Galleria T293 (Napoli). Ha partecipato ad importanti esposizioni collettive tra cui Panorama. Approdi e derive del paesaggio in Italia Fondazione del Monte, Bologna; Premio Lissone MAC Museo d’arte Contemporanea di Lissone; Exodus Station Museum Carlos Machado, Ponta Delgada, Azzorre; The 4th Thessaloniki Biennale of Contemporary Art; Oceanomania Villa Paloma, Nouveau Musée National de Monaco, Principato di Monaco; The Mediterranean Approach (Palazzo Zenobio, Venezia; MAC Museum of Contemporary Art, Marsiglia; SESC Pinheiros, San Paolo); Celebration Museum Alex Mylona – Macedonian Museum of Contemporary Art, Atene; Oltre lo specchio Istituto Italiano di Cultura, Belgrado; Nouvelle vague Villa Noailles Hyeres, Francia; Focus on Contemporary Italian Art MAMbo – Museo d’arte Moderna di Bologna; Nothing but sculpture XII Biennale Internazionale Carrara.