Satoshi Hirose, artista giapponese da anni residente anche in Italia, a Milano, nel tempo ha sviluppato una ricerca artistica originale basata su differenti modalità espressive, dall’installazione alla scultura, dalla fotografia alla pittura, fino all’azione partecipata. La nota specifica e costante è il ricorso agli elementi della quotidianità e la loro ricombinazione in forma inconsueta, così da stimolare possibilità ulteriori di confronto tra noi e questi; dunque un processo che amplia la portata significativa delle “cose comuni”, fino a renderle indice di impreviste e più ampie interrelazioni: per esempio tra la componente materiale e spirituale dell’uomo, tra la stabilità ideale e l’impermanenza effettiva dei fenomeni, tra le demarcazioni del naturale e dell’artificiale, tra gli accadimenti nelle scale del micro e del macrocosmo.
In occasione della mostra personale alla Portineria, parte del ciclo A Solo, l’artista presenta un progetto inedito dal titolo Strange Loop: un insieme variato per tipologia di opere e materiali che va dalla scultura all’installazione, dal disegno alla pittura, dalla foglia d’oro alle piante. Al centro di entrambi gli spazi – infatti in questo caso l’esposizione si “espande” anche nella zona di solito usata come studio per artisti in residenza (Studio) – vi è l’osservatore, la sua percezione delle continue connessioni che le opere e i due ambienti instaurano tra loro, all’interno di uno strano loop continuo. Oltre l’apparenza, o la superficie di quanto si vede, ognuno di noi può avere un’esperienza più complessa e
ricca, in grado di coinvolgere ogni senso; una piccola porzione di mondo qui ci suggerisce come tutto il reale possa diventare fonte immaginifica e sorgente di nuovi valori.
Matteo Innocenti: Satoshi da poco si è conclusa una tua importante mostra personale, dal titolo The Earth is Blue Like a Lemon, al Museo Arts Maebashi (Maebashi, prefettura di Gunma, Giappone), in cui hai esposto quasi novanta opere realizzate in circa venticinque anni di ricerca artistica – tra pittura, scultura, fotografia e installazioni. Come hai costruito questa esposizione?
Satoshi Hirose: Ho evitato una semplice successione cronologica nella modalità espositiva. Questo perché la mia ricerca non è monotona, si tratta del mio modo di procedere. Penso che il mondo sia complesso e multidimensionale e ciò si riflette nella mia vita e nelle mie opere. Per me è un metodo di lavoro indispensabile per cercare nuove relazioni tra gli oggetti e per afferrare l’insieme di diversità di cui si compone tutto ciò che ci circonda.
MI: Il titolo della tua mostra alla Portineria è Strange Loop, immaginando – lo riprendo da un tuo statement – “un mondo paradossale in cui inizio e fine sono collegati, dove ogni prospettiva diventa sfuggente e non può essere definita né come verità né come falsità.” Quali sono le caratteristiche dello spazio espositivo che qui ti hanno portato ad approfondire certi aspetti dell’ambiguità e della ripetizione?
SH: Penso che il mondo sia molto incerto. L’identità dell’arte è intrinsecamente instabile: essa è costituita da un mix puro di elementi pluralistici. So che nella cultura occidentale le parole “incertezza” o “ambiguità” sono negative. Firenze è la città storica e culturale del Rinascimento, proprio qui ho voluto riflettere sugli aspetti che stiamo citando. Mi interessa scoprire, in modo assoluto, le possibilità di sopravvivere alle incertezze della realtà fenomenica. Ciò significa interessarsi alla creatività di coloro che hanno un rapporto solo marginale con una cultura più estesa. Al centro vi è l’approccio di coloro che creano – indipendentemente da qualsiasi ideologia o teoria dominante – un’estetica o un
codice di comportamento derivati dalla riorganizzazione libera di frammenti di realtà e di processi comunicativi. Vorrei che qui si percepisse uno spazio astratto in cui muoversi, che può essere attraversato, che ammette più culture e la libertà dello spirito.
MI: Certamente si tratta di una riflessione che sviluppi da anni con le tue opere; vorrei sapere se e in che modo la situazione recente, segnata in profondità dall’emergenza pandemica, ti ha influenzato – anche rispetto al significato del “fare arte”.
SH: Mentre i giorni di chiusura e isolamento dovuti al virus continuano, il mio interesse per un tipo di arte che grida con forza per l’autoaffermazione, l’ego e l’identità è diminuito. Allo stesso tempo sono diventato ancora più consapevole della necessità di riconsiderare la ricchezza dei sensi umani. In ogni momento della nostra vita itinerante inconsciamente paragoniamo le sensazioni che riceviamo attraverso i nostri cinque sensi con i dati del nostro “archivio” di ricordi, grazie a un processo che si muove tra percezioni e riconoscimento. Di certo le nostre immagini mentali non sono generate solo dalla vista ma da tutti i sensi insieme – vista, udito, olfatto, tatto e gusto – i quali non operano isolatamente.
Inoltre i sensi degli esseri umani vengono affinati e l’immaginazione ampliata attraverso il loro uso. Così facendo,
riusciamo a percepire sempre meglio la natura dell’ambiente che ci circonda. Di conseguenza, se viviamo all’interno di culture difficili e in condizioni differenti da quelle nostre originarie, sviluppiamo la capacità di comprendere gli altri e delle forme di rispetto anche per ciò che è lontano dall’essere umano stesso. La crisi pandemica e la crescita della tecnologia hanno reso il nostro mondo interiore un luogo sempre più piccolo. Indubbiamente il 21° secolo esige che noi ci confrontiamo con le persone che vivono e pensano in modi differenti da noi, per scoprire e apprezzare l’esistenza di ogni diversità. Il rapporto e rispetto reciproco creano una connessione invisibile. Ovvero non possiamo separare o eliminare le relazioni tra una persona e l’altra, indipendentemente da quale sia la distanza tra paesi e culture.
MI: Nella realizzazione delle tue opere usi materiali comuni,quotidiani, e poi con grande capacità evocativa li rendi qualcosa di diverso, in grado di stimolare nuove e impreviste interpretazioni.
Pensi che nella mentalità occidentale manchi una certa capacità di meravigliarsi e di apprezzare ciò che è “normalità”?
SH: Non c’è differenza tra Oriente e Occidente nella capacità di pensare agli esseri umani. La normalità può talvolta essere considerata come una banale dimensione quotidiana. La banale dimensione quotidiana dell’esistenza dove si ritiene che non ci sia mai nulla di nuovo, è in verità un mondo pieno di stimoli.
Riproducendo e rimodulando i piccoli fatti della vita di ogni giorno, ci appare la ricchezza insospettata di questa dimensione dell’esistenza umana. La riscoperta e la re-invenzione della quotidianità ci aiutano a trovare una via per sopravvivere e nuovi parametri di libertà. Trasformando le condizioni del nostro mondo contemporaneo, eccessivamente costruito e rigidamente organizzato, mediante minuscoli cambiamenti di prospettiva
e modeste azioni che catturino la flessibilità e la complessità ampiamente stratificata della vita, l’Arte amplia la possibilità di fondare nuovi valori umani nella regno dell’immanenza.
Nell’ambito della vita quotidiana ogni identità può essere costruita con la produzione di modelli unici; ma slittando o trasformando una posizione grazie alle altre, un’identità può anche essere trasmutata.
MI: La mostra in modo diretto e indiretto richiama anche la natura. Recentemente hai lavorato a un’installazione pubblica in Giappone, modificando lievemente una grande pietra già esistente e poi posizionandola nella vegetazione. Qual è il rapporto tra la tua ricerca e il mondo naturale?
SH: Non penso alla natura e all’antinatura in modo separato, ma le considero continue. L’arte rappresenta un riflesso del sentimento della forma umana, un riflesso di quel riflesso, come l’ombra dello spirito. Credo che questa percezione della natura possa essere associata all’arte spirituale del Giappone. Tutto l’universo è integrato in una visione estesa della natura, il microcosmo del corpo umano si sovrappone al macrocosmo della galassia.
La mia arte non è rappresentazione o evocazione della natura.
Per quanto i materiali delle opere possano essere naturali, essi comprendono in sé anche una resistenza alla natura. Tutto è in relazione e ovunque noi troviamo delle condizioni in cui le cose sono connesse in modo illimitato.